Gli eventi pandemici ci stanno dicendo che della politica si può fare a meno?
Le scelte per contenere il COVID-19 e i suoi effetti sulle collettività in tutto il mondo sono dettate dalla scienza e dalla ricerca, fatto questo che non ha precedenti nella storia della civiltà moderna. Ci si affida (giustamente) a questi due ambiti dell’attività umana per risolvere, far fronte a quest’emergenza, registrando un ruolo via via sempre meno incisivo della politica, un attore necessario ma di secondaria importanza, semplice esecutore di ordini ed indicazioni dettate da altri ambiti.
In questo caso per parlare di “emergenza” dobbiamo tener conto di tre fattori. Il primo riguarda il concetto di spazio, ed è ovvio che è di dimensione planetaria, la pandemia in atto sta dimostrando che l’umanità intera oggi è impreparata a prevenire e combattere le malattie infettive. In qualsiasi parte del mondo le collettività cercano di trovare soluzioni e reagiscono in maniera diversa (basta semplicemente analizzare le misure adottate in Cina, negli Usa, nella Corea del Sud, come in Europa i singoli Paesi membri si stanno comportando, ecc.), tutte però seguendo le indicazioni della scienza, della ricerca e delle organizzazioni a loro legate (dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’Istituto Superiore Sanità, per citarne qualcuna).
Il secondo fattore è legato al tempo, un lasso di tempo di cui si ha certezza dell’inizio (iniziata a quanto pare a settembre ’19, poco importa, un mese in più o in meno servirà a chi di dovere per conoscere le fonti e giocare di anticipo per le prossime pandemie), ma non della fine (si parla di anni per contenerla e decenni per debellarla). Anche in questo caso l’ultima parola spetta ai nostri due ambiti e non certo alla politica.
Il terzo fattore è il cosiddetto “ritorno alla normalità”. La maggior parte degli esperti è oggi concorde nell’affermare che nulla sarà come prima, scordiamoci quindi di considerare questa pandemia come un qualcosa che possa essere storicamente definito in una parentesi temporale e nulla più. Il Covid-19, oltre al prezzo salatissimo che ci sta facendo pagare in termini umanitari, economici ed ambientali (quest’ultimo, sottovalutato e poco citato, è enorme, basta pensare alle grandi quantità di dpi, reagenti ed attrezzature immesse nell’atmosfera, tutto materiale indifferenziato e difficilmente recuperabile e riutilizzabile, ma anche al tempo che stiamo perdendo per far fronte all’emergenza climatica), sta anticipando e acutizzando, impietosamente, i grandi problemi che assillano la nostra società moderna legati ad un falso ed illusorio progresso. La lotta alle conseguenze dei cambiamenti climatici repentini per il mantenimento dell’ambiente in cui viviamo, le diseguaglianze sociali sempre più evidenti, il contenimento degli effetti negativi della globalizzazione, i disordini sociali in tantissime parti del mondo (guerre, tirannie, ecc.), ci dicono che dovranno essere messe le basi per un nuovo umanesimo dove il semplice aumento della ricchezza non deve continuare ad essere il principale, se non unico, indice di valutazione. Un durissimo banco di prova questo per la politica, capire la complessità del mondo in cui viviamo e fare scelte giuste in un’ottica di sviluppo sostenibile.
Purtroppo la politica oggi non sta dando le risposte corrette per la soluzione dei problemi che ci assillano e, cosa ancor più grave, non sta trasmettendo sensazioni positive di prontezza e lungimiranza. Lo stiamo registrando a livello nazionale, dove più che di politica si può parlare di “teatrino della politica” (con il contrasto tra Governo e Regioni sulle misure urgenti da attuare, le diatribe tra una maggioranza al governo incapace o impossibilitata a trovare le soluzioni più giuste e un’opposizione “a qualsiasi costo” delle forze non governative, senza una visione politica alternativa). Lo registriamo anche a livello mondiale dove scelte nazionaliste assolutamente sbagliate o fuori tempo (l’amministrazione Trump in America, Bolsonaro in Brasile, Boris Johnson in Inghilterra, per citare le più evidenti), continuano a far pagare un caro prezzo alle popolazioni locali.
Se le cose non cambieranno in meglio, finita che sarà la fase cruenta della pandemia, correremo quindi il serio rischio del cronicizzarsi del ruolo secondario della politica con l’inevitabile creazione di nuovi scenari politici alternativi, dove i principi sacri della democrazia rappresentativa potrebbero essere messi pericolosamente in discussione.
Si spera quindi in un cambio di passo della politica stessa. Bisogna innanzitutto potenziare le politiche sovranazionali, come sta succedendo oggi in Europa. All’inizio della crisi, non potendo scegliere altra strada che quella di potenziare le politiche sanitarie ed economiche dei singoli Paesi membri, sono state usate tutte le armi a disposizione, sia della BCE (creazione di un ombrello finanziario protettivo), che della stessa Commissione europea (attivazione della clausola di sospensione delle regole di bilancio europee, del Patto di stabilità e del Fiscal Compact, ed altro). In termini economici nulla di eccezionale, ed ecco quindi il vero cambio di passo, la novità, la proposta dell’istituzione di un debito comune garantito da tutti gli Stati membri con il bilancio dell’Unione Europea, il Next Generation UE (Recovery Found). Questo quindi potrebbe essere l’inizio di un percorso virtuoso che, attraverso la revisione dei trattati, potrebbe portare celermente alla creazione di un‘Europa più incisiva ed a trazione federalista, così come ideato dai suoi padri fondatori più di settant’anni fa.
A livello mondiale infine, ritenendo oggi impensabile e prematura una soluzione federalista, si spera che vengano attivate delle “governance” per tutte le grandi tematiche che assillano l’umanità intera, dove ogni Stato dovrà fare la sua parte, a condizione che venga abbandonata la logica delle politiche nazionaliste.
Giorgio Guastella
Segretario Movimento Federalista Europeo di Ragusa