Close

Minigonna a scuola si, no…?

All’inizio dell’anno scolastico in tv e sui social si è parlato della questione sollevata da alcune alunne del Liceo Classico-Scientifico “Socrate” di Roma relativamente al diritto di indossare la minigonna in classe che è stata oggetto di discussione a scuola e di un intervento da parte della vicepreside dell’Istituto,  intervento, dal mio punto di vista, non adeguato ad una educatrice. La prof  ha infatti affermato “niente minigonne a scuola sennò ai prof gli cade l’occhio”. Premesso che dovrebbero essere evitati atteggiamenti  provocatori  da parte delle alunne e degli alunni attraverso un abbigliamento “sconveniente” a scuola, le ragazze hanno prontamente risposto che “è una consuetudine vecchia colpevolizzare le donne su azioni compiute dagli uomini…, infatti che non è colpa loro se i prof guardano, la malizia risiede in chi guarda…”

La  Dirigente scolastica avrebbe dovuto parlare sia con gli alunni e sia con i genitori e approfittare della situazione per farla diventare punto di partenza per discutere della  parità e dei diritti della donna e degli uomini, così come già previsto dalle normative del Ministero dell’Istruzione nel Piano Nazionale sull’educazione al rispetto,  non riducendo la questione a “minigonna  si, minigonna no”.

Ho subito pensato agli anni ’70-80 quando noi ragazze portavamo  “castigate”  minigonne anche come protesta con un significato simbolico contro le consuetudini, le regole, le convinzioni  degli adulti e dei nostri genitori, in un contesto di coscienza comune e di acquisizione di conquiste sociali .  Anche a scuola una pudica minigonna sotto il grembiule era una sfida di emancipazione, del diritto ad essere considerate persone libere di scegliere contro le regole imposte dal mondo adulto.

I miti per molte di noi erano i Rolling Stones, i Beatles, gli Inti-Illimani, De André e in politica Che Guevara, Allende, e ogni scelta era sintomo di ricerca di una identità libera e personale.

Ci si dovrebbe domandare oggi in cosa consiste l’emancipazione delle ragazze.

L’emancipazione non dovrebbe passare dalla libertà di poter indossare le minigonne a scuola, così come si afferma nei cartelli posti nelle classi del suddetto liceo; le rivendicazioni dovrebbero riguardare il diritto all’autorealizzazione, alla possibilità di poter lavorare e guadagnare come gli uomini, di poter ricoprire ruoli da sempre appannaggio del sesso maschile senza pregiudizi da parte delle persone, di essere scelte perché competenti, di poter scegliere liberamente facoltà di solito indicate come maschili.

(I dati della ricerca Microsoft 2017 European Girls in STEM”, discipline scientifico-tecnologiche-matematiche, rileva che nelle facoltà umanistiche la presenza delle ragazze è dominante e nelle facoltà scientifiche solo negli ultimi anni si vede una presenza ma sempre relativa del sesso femminile. Dalla ricerca effettuata in 12 Paesi europei su 11.500 ragazze emerge che:  

solo il 12,6% delle studentesse italiane intraprende un percorso universitario legato alle STEM e solo il 6,4% lavora nel campo delle  tecnologie dell’informazione e della comunicazione e il 13,3% in settori correlati all’ingegneria.

La convinzione che non ci siano ancora pari opportunità lavorative in ambito STEM  è infatti tra i primi fattori che influiscono sulla decisione delle giovani studentesse italiane di abbandonare la propria passione per le materie scientifiche).

Essere donna vuol dire avere il diritto di scegliere il proprio percorso di vita decidendo senza costrizioni, poter argomentare senza paura di esser etichettate, avere il  diritto anche di sbagliare perché si è creduto  nelle proprie idee a volte anche non esatte. Oggi secondo me questo è il percorso dell’emancipazione, non certo portare la minigonna a scuola.

La scuola è un’istituzione formativa “seria”, che in democrazia mette le basi per la consapevolezza dei futuri cittadini e richiede l’acquisizione di “abiti mentali” che  strutturano la cultura di un paese. La scuola necessita di rispetto e responsabilità e anche  l’abbigliamento deve essere adeguato, non provocatorio o sconveniente, sia per le ragazze, sia per i ragazzi, sia per i genitori.

La scuola è il luogo del sapere, della conoscenza, della scienza,  delle scoperte, dove  è presente un pensiero maschile e un pensiero femminile, poi vi sono i luoghi deputati al divertimento, al tempo libero e lì può essere utilizzato l’abbigliamento che si vuole.

La seduzione, nonostante gli influssi dei social, non è la dimostrazione del corpo femminile e del potere che ne può derivare, ma nel terzo millennio la seduzione dovrebbe riguardare la possibilità di essere interessanti per il sapere, per la conoscenza, per il proprio pensiero, per saper argomentare e comprendere il mondo che ci circonda. Senz’altro dobbiamo avere cura di noi per essere belli fuori, ma  dobbiamo costruire le premesse fin dall’infanzia per essere “belli dentro”.

Pensateci ragazze, non è un discorso di minigonne e, come dice Kamala Harris, vice presidente USA, “sognate con grande ambizione”!

Gianna Criscione

scroll to top