Close

UE, la strategia per la parità di genere: 2020 – 2025

Le donne e gli uomini, le ragazze e i ragazzi, IN TUTTA LA LORO DIVERSITÀ, dovrebbero essere liberi di esprimere le loro idee e le loro emozioni e di perseguire le loro scelte formative e professionali senza sentirsi vincolati da RUOLI DI GENERE STEREOTIPATI.”

L’espressione sintetica del primo punto della “Strategia UE per la parità di genere” non può esimerci dal tener viva la consapevolezza che le sintesi non sono la banalizzazione dell’universo complesso di cui si compone ogni discorso, ogni narrazione storica e politica delle vicende umane. A noi, dunque il compito dell’esercizio riflessivo al fine di richiamare parole e frasi che, in tale sintesi, sono l’espressione di un ben più profondo e articolato tessuto connettivo.

Proficuo è, allora, cogliere nelle espressioni: “essere liberi di esprimere idee ed emozioni; di perseguire scelte formative e professionali senza vincoli”la portata storica dei processi che hanno determinato l’affermarsi dei principi democratici nei moderni ordinamenti politico – giuridici dello spazio europeo. Uno spazio, quello europeo, al quale, nonostante le contraddizioni e le crisi dei valori in cui può incorrere, non gli si può, certo, negare la ricchezza delle Carte costituzionali di cui dispone quale originario e universale presidio di umanizzazione delle società. P

oiché è nelle società umanizzate il luogo dove può essere bandita la possibilità che ci sia un UOMO, ….⋘ che lavora nel fango, Che non conosce pace. Che lotta per mezzo pane. Che muore per un si o per un no…. o una DONNA….”Senza capelli e senza nome. Senza più forza di ricordar. Vuoti gli occhi e freddo il grembo. Come una rana d’inverno… (Se questo é un uomo: Primo Levi) .

Società umanizzate, or dunque, in cui non si debba essere privati, per nessuna ragione, di vivere dignitosamente la propria identità e in cui non debba regnare la bestialità di chi con un si o con un no possa decidere le sorti di vita e di morte degli uomini e delle donne sulla terra.

E ancor proficuo è, anche, cogliere l’essenza del, pur complesso, dibattito storico – non privo di penosi conflitti sociali – che, a partire dall’affermarsi delle stagioni delle Carte costituzionali, ha comunque dato forma alla civiltà dei diritti: della libertà di pensiero (il principio del pluralismo delle idee) e dell’effettiva possibilità di ciascuno di realizzare pienamente se stesso armoniosamente e dignitosamente inserito nel contesto sociale in cui si svolge la propria vita (il principio dell’uguaglianza sostanziale con il superamento delle libertà formali astrattamente concepite, vedi art. 3 della Costituzione repubblicana)

Nelle democrazie più compiute, poi, la civiltà dei diritti non è pensata semplicemente come rivendicazioni di parte, – ora di un gruppo sociale, ora di un’altro, sulla base della propria forza socio-economica nei contesti politici – ma come civiltà che fa sorgere in tutti l’obbligo del riconoscimento dei diritti all’altro diverso da sé e, per tale via l’effettivo, universale diritto di tutti ad avere diritti. Senza il sorgere e l’interiorizzazione di tale obbligo, dunque, non può sussistere l’effettivo beneficio dei diritti per tutti.

E, se l’altro diverso da sé risiede in …tutte le donne e gli uomini, le ragazze e i ragazzi, IN TUTTA LA LORO DIVERSITÀ senza vincoli di RUOLI DI GENERE STEREOTIPATI

è lo spirito democratico che può accogliere e permettere che possa esprimersi la ricca panoramica delle identità umane individuali e realizzare, quindi, la pacifica coesistenza delle identità plurime: siano esse di carattere etnico – religiose o profondamente radicate alla condizione di ciascuno (art. della 3 Costituzione repubblicana: senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali).

Perché lo svolgersi dello spirito democratico richiede la cura degli individui  come soggetti unici ed originali col fine di contrastare la possibilità che le società si trasformino da comunità dialoganti in masse insignificanti e indifferenti, e il posto di un popolo pensante è occupato da un volgo manipolabile. Conseguentemente, laddove un popolo ignora di essere ignorante, è inevitabile il costituirsi di ordinamenti non molto dissimili dai regimi autarchici in cui la politica è appannaggio di egoistici interessi di potere per il mantenimento dello status quo; e, laddove il volgo è assopito nell’oblio della storia, regna esclusivamente il pensiero autoreferenziale e dogmatico del potere costituito.

E quest’ultimo è per definizione pensiero unico che richiede l’adesione fideistica, e quindi acritica, ad esso; non ammette alcuna contaminazione di pensiero altro, di identità altre da quelle funzionali alla stabilità sociale del regime che le ha codificate.

Il pensiero unico è convergente verso il proprio centro, non sa immaginare orizzonti diversi oltre il già conosciuto, il già detto: genera e si regge sul linguaggio degli stereotipi e dei pregiudizi (linguaggio connotato da parole ingannevolmente persuasive che una volta originate veicolano ogni altro giudizio all’interno della cornice che esse stesse creano)

Il pensiero unico contrasta le modalità riflessive divergenti che sono invece creative, immaginano mondi diversi dal conosciuto e dai luoghi comuni, si calano nel movimento della storia degli uomini e, per fare ciò, coniugano, in maniera rigorosa, veritiera e coerente, le parole con i concetti da esprimere («Sappi che il parlare impreciso non è soltanto sconveniente in se stesso, ma nuoce anche allo spirito»: Socrate); esse superano, dunque, tutte le poco oneste e, pertanto assai discutibili, semplificazioni delle idee.

Si comprende allora come il pensiero unico, convergente, parla a se medesimo e nega il dialogo e la cura delle relazioni, mentre il pensiero divergente parla agli altri e si fonda sul dialogo e la cura delle relazioni: il primo tende all’assolutismo delle idee ed alla tirannide degli ordinamenti sociali, quando invece il secondo tende al relativismo delle idee e, quindi al pluralismo delle stesse, di matrice democratica (da non confondere con il generico scetticismo e disfattismo delle convinzioni).

Sembra chiaro, dopo questo breve itinerario discorsivo, come il PUNTO UNO della “Strategia per la parità di genere” guarda e aderisce al patrimonio storico, culturale e politico che ha come scopo l’umanizzazione della società europea. La vera sfida della strategia consiste, dunque, nel fare tesoro di tale patrimonio e di mantenere le promesse che essa annuncia traducendole in proficue pratiche politiche. Occorre rendersi conto, tuttavia che, nel corso dell’attuale contingenza critica di ordine globale (crisi sanitaria, povertà, attacco alle democrazie, ritorno dei fascismi) senza le virtù della resilienza, della responsabilità e della cittadinanza partecipativa, quanto è stato pianificato come meta possibile, resti invece confinato nell’alveo del sogno, dell’utopia non afferente alla realtà umana.

Lucia Muscetti

scroll to top