Riflessioni per il cambiamento sistemico in nome della persona umana come nuova centralità strategica
La grande presupposizione è la malattia mortale della Politica. È un dato oggettivo il fatto che la nostra cultura antropologica quotidiana si nutra di violenza, ma non è altrettanto condivisa la condizione che proprio questo elemento generi a sua volta le condizioni materiali e immateriali della stessa ideologia della prepotenza.
Che la nostra vita abbia in sé questa malattia, sia a livello dei soggetti che a quello della società, in tutte le sue forme e reazioni, non viene ammesso perché la si colloca come fenomeno all’esterno sia della propria personalità che della propria Weltanschauung.
Gioca un ruolo importante nella formazione di questa presupposizione la visione astratta e codificata della cultura sia nei credenti che nei laici.
Se la cultura è un lascito, una eredità codificata, allora non resta che “conservarla e proteggerla” dai nichilisti e dagli attacchi dei distruttori e dei manipolatori.
Se la cultura è concepita come un insieme di arnesi, come pensa la gestalt–teory, dobbiamo aiutare l’uomo, cioè il soggetto “culturale” protagonista, ad apprendere ed usare questi arnesi per il cambiamento nella direzione dell’orizzonte proprio dei valori.
Se invece si è ancora sotto il regime della alienazione e dei preconcetti del dualismo presupposto e rigido tra la mente “credente” e la mente “laica” bisogna specificare il senso dell’umanesimo moderno rispetto a quello scientifico e tecnico, e precisarne la riconversione di prospettiva sul piano antropologico e sociale.
Il problema non sembri “accademico” perché esso tocca da vicino la direzione e la credibilità della ricerca, specie in tempo di globalismo diffuso. Ad esempio, anche l’individuo globale ne è stato condizionato e deformato; chiudendosi in se stesso, nella propria “turris eburnea”, si è autocentrato sulla circonferenza e si è impegnato e ricompattato sulla legittima priorità di difesa, diventando una bomba di istinti, forti e vivi, pronti ad esplodere.
Già S. Freud aveva detto che l’Io è il servitore di tre padroni severi, di tre terribili tiranni dell’anima cioè il mondo dell’on esterno, il Super-Io e l’Es, un concentrato di libido e di istinti pronti ad esplodere e a creare una condizione permanente di ansia, angoscia e rabbia quando non trovano una uscita di sicurezza, cioè vie di gratificazione o di sublimazione, un approdo salutare e soddisfacente.
Questo fenomeno rende ragione della crisi della personalità “politically correct” dell’individuo globale e spiega l’aumento in espansione degli individui arrabbiati e violenti che non accettano altri fuori di sé. Nella misura in cui si ritengono superiori, vogliono tutto e subito, con tutti i mezzi e con tutti gli arnesi. Così nasce” il popolo dei prepotenti”!.
Essi appaiono formalmente corretti, ma in cuore provano i sentimenti terribili della prepotenza, della prevaricazione e dell’annientamento nei confronti dell’altro uomo , che si erge come una minaccia, come loro signore e padrone. Nasce così non solo “il ribelle” ma, soprattutto, emerge in modo vistoso un individuo “schizofrenico”, in crisi permanente tra ciò che egli cova dentro e ciò che egli è costretto a manifestare nell’ambito delle sue relazioni e dei suoi rapporti.
Bisogna inoltre considerare che, ormai da tempo, l’uomo globale, separato e diviso in sé, ha perduto il timone interiore della sua anima come regina della sua vita, smettendo di credere e di ragionare con la propria testa e con il proprio cuore. Si ritrova alla fine un essere umano senza forza esistenziale e senza speranza, un individuo debole e fragile, immerso in una “folla solitaria ” nella quale ci si muove come un insieme, ma ognuno cammina “a modo suo !”. In questa condizione si perde l’identità del sé e con essa la differenza specifica. Si genera così un crescendo di anonimato cieco e passivo in un mondo di duro conformismo.
Luigi Zoja nel suo libro “Utopie Minimaliste” (Chiare Lettere editore, Milano 2014, pp. 232) riferisce a p. 155 che «uno dei racconti postumi di Kafka è narrato in prima persona da un cane (cfr. trad. it. : Indagini di un cane, in F. Kafka. Tutti i racconti, Newton Compton, Roma 1990, pp.302-332) e precisa che le sue indagini si aprono con osservazioni sugli uomini: esseri rozzi, che i cani cercano invano di aiutare. Non fanno come noi – dice il protagonista – che ci annusiamo e riposiamo appoggiati l’uno all’altro. Gli uomini stanno il meno possibile insieme. Interagendo fra loro, si trattano come estranei: e, quando proprio sono costretti a un’attività comune, da quella nascono con facilità conflitti e odio».
Gli uomini , secondo Aristotele, sono “zoon politicon”, animali sociali, ma stando alle descrizioni del loro comportamento nella nostra epoca, caratterizzata da un feroce e forte individualismo di massa, sembrano aver dimenticato sia la loro natura istintiva che la loro vocazione civile alla socialità. Potremmo dare della genesi della prepotenza una spiegazione “istintiva” ma non sarebbe corretta per quanto ha scritto Luigi Zoja sulla via del racconto kafkiano sul Cane come essere “emblematico”. In verità la prepotenza ha soprattutto una genesi “culturale” e “antropologico-sociale” con radici nell’istinto degradato o, per così dire, “civilizzato”.
Si confrontano nella cultura filosofica contemporanea due visioni della missione della ricerca epistemologica in filosofia.
- La morale dell’indifferenza che è fondata sull’antropologia della prepotenza
- La morale della compassione che è fondata sull’antropologia della fraternità
La prima è una conseguenza dell’individualismo ideologico che si esprime anche nella cultura del liberismo assoluto. La seconda è da riscontrare nell’insegnamento di Abraham Joshua Haeschel, il quale ha sostenuto la tesi della riconversione della filosofia.
Dice Haeschel : “La filosofia da amore della sapienza deve diventare sapienza dell’amore”.
Una chiarificazione ci viene da Piero Balestro, fondatore dell’antropoanalisi cristiana secondo la via di L. Biswanger. La svolta consiste nel passare dal parlare di amore al parlare l’amore. Si tratta di spiegare e comunicare tutta la nostra forte voglia di amare che caratterizza la vita dell’uomo e ne postula l’abbondanza e l’eternità (“La terapia del Vangelo”, San Paolo, Milano 1998, postumo). L’uomo è una Parola dialogica e amante nei suoi tratti più belli.
Senza anima e senza utopia comunitaria gli uomini diventano prigionieri della Caverna Platonica. La vita delle città sarà devastata dal virus ideologico, morale e politico della retorica e del populismo. Come in Grecia ieri, ora nel nuovo mondo globale aumenterà il contagio, la pandemia trasformerà la città dell’uomo rendendola invivibile e spegnerà lo spirito nazionale della patria e la qualità comune degli uomini liberi.
Moriranno , innanzitutto, la società aperta e la democrazia rappresentativa e con esse la dignità e il valore della persona umana come asse e fondamento strategico dell’universo umano- civile. Nel nostro mondo globale non c’è la forza e il legame della solidarietà e della comunità. Tutti gli uomini sono divisi e separati, sopravvivono e lottano per rinascere persone umane degne di questo nome.
Il futuro del nuovo mondo globale post pandemico richiederà un salto di civiltà e di Pace Preventiva, una grande cooperazione sociale di corresponsabilità multiculturale e intergenerazionale.
Dobbiamo preparare una classe dirigente nuova per questo compito. Nelle migrazioni globali si trovano nuove classi e nuove speranze, un’ altra umanità più capace e più pronta. E’ l’ora dei sognatori e dei seminatori. E’ l’ora della fede e della speranza.
prof. Luciano Nicastro – filosofo e sociologo ragusano