Non so voi, ma io ho la sensazione, in questo periodo della nostra storia e della nostra società, di assistere ogni giorno allo spettacolo di un grande Circo. Clown, funamboli, equilibristi, acrobati, trapezisti, giocolieri, domatori, maghi, chiaroveggenti, indovini, illusionisti si ammassano attorno a noi per farci divertire, esibire i loro numeri, proporci i loro espedienti, prevedere il futuro di ognuno di noi, illuderci con le loro ricette. Noi, come pubblico, assistiamo, applaudiamo, seguiamo col fiato sospeso le varie esibizioni, misuriamo l’abilità dei vari protagonisti, specie se si mostrano senza rete di protezione.
Un circo Barnum, in cui ci vengono proposti fenomeni da baraccone, prodigi ed eccezioni di tutti i tipi, per suscitare meraviglia e soggezione: nani, giganti, gemelli siamesi, donne barbute. Non manca chi, nel solco della tradizione, assume pure le sembianze di Buffalo Bill e di Toro Seduto. Uno spettacolo replicato più volte e spesso triste, in cui appaiono malinconicamente domati ed asserviti cavalli, leoni, tigri, elefanti, scimmie, un tempo liberi ed ora spinti ad esibirsi per uno zuccherino. E’ difficile trovarvi un cavallo di razza impetuoso e appassionato o un leone forte e fiero o un elefante possente ed altero, disposti a non abbassare la testa e a mostrare la propria indipendenza.
Tutto ciò, tuttavia, provocherebbe dei danni limitati alla nostra salute mentale se, a completare la rappresentazione circense e a renderla più intollerabile, accanto alla pista principale, non si mettesse in bella mostra nelle piste laterali una corte sterminata di opinionisti, giornalisti, filosofi, scrittori, politici, luminari e scienziati, che quotidianamente parlano e straparlano dello spettacolo, spessissimo in contrasto tra loro, portatori di una loro verità inconfutabile e incontestabile, atta ad indirizzarci verso determinate scelte, determinati comportamenti, determinate mete.
A questo punto frastornati, storditi da parole, pensieri e visioni, intontiti da un’atmosfera di eccitazione e di agitazione sempre crescente, ci ritroviamo più avviliti di prima, incapaci di credere in qualcuno o in qualcosa e soprattutto poco fiduciosi e interessati al futuro.
Come Enea e i suoi compagni dopo il naufragio, siamo, “ spemque metumque inter dubii”, incerti fra la speranza e il timore.
Tanino Lo Monaco