La Costituzione Italiana favorisce le autonomie e il decentramento, purché venga salvaguardata l’unità politica e amministrativa del nostro Paese, infatti all’art. 5 cita: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, inoltre all’art. 116 si fa espresso riferimento all’attribuzione di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni ordinarie soltanto per alcune materie”.
Questo decentramento amministrativo , tuttavia, viene previsto dopo avere sottolineato che «la Repubblica è una e indivisibile» con una unità di valori e di principi condivisi, capace di evitare le derive autonomiste.
Per quanto riguarda la scuola l’art. 33 della Costituzione afferma che «La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi» e “Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”.
C’è una ragione profonda alla base di questi principi costituzionali ed è che l’istruzione è il principale strumento per far diventare eguali i cittadini su tutto il territorio nazionale.
Anche l’organizzazione dell’istruzione a livello nazionale riprende i principi costituzionali, infatti abbiamo una AMMINISTRAZIONE CENTRALE DEL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE che ha la funzione di garantire l’unità e la coerenza del sistema scolastico su tutto il territorio nazionale con poteri di indirizzo e di coordinamento, e poi vi è L’AMMINISTRAZIONE PERIFERICA con gli Uffici Scolastici Regionali e Uffici Scolastici Territoriali (provinciali), che devono garantire la gestione dei territori nel rispetto degli indirizzi generali del Ministero.
Nel mondo della scuola già esistono norme per l’autonomia (Legge 59/1997, conosciuta come legge Bassanini, e il successivo D.P.R. n°275/99) dove viene affermata l’autonomia delle singole scuole, autonomia didattica, autonomia organizzativa, autonomia di ricerca più alcuni elementi di autonomia finanziaria e gestionale, ma sempre nel rispetto degli indirizzi generali emanati dal Ministero.
La riforma costituzionale del 2001 Legge n.3 (Modifica del Titolo V della Costituzione) ha introdotto molte novità, tra queste va senz’altro collocata una maggiore AUTONOMIA , anche per la scuola, ma molti aspetti della riforma sono rimasti incompiuti.
A causa delle gravi differenze economiche e sociali fra regioni non vi è stata la reale transizione delle funzioni esercitate dall’amministrazione dello Stato alla sfera regionale.
Anche il quadro normativo delineato dalla legge n. 3 traccia un sistema educativo unitario nel quale allo Stato è riconosciuta la competenza esclusiva “sulle norme generali sull’istruzione” e sulla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” per il sistema educativo, livelli tra l’altro mai definiti, concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117), che la Costituzione prevede e garantisce in materia di istruzione.
La citata legge 3 alla lettera n “norme generali sull’istruzione”, definisce la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e formazione, e pertanto “richiede di essere applicata in maniera necessariamente unitaria ed uniforme su tutto il territorio nazionale” fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e formazione professionale , in quanto quest’ultima è già di competenza regionale .
La legge 3
• prevede la possibilità di attribuire alle Regioni, con legge ordinaria, “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 119″.
• ha differenziato la potestà legislativa in tre forme:
esclusiva dello Stato, con un’elencazione tassativa delle materie;
concorrente tra Stato e Regioni, in cui spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato;
esclusiva delle Regioni, in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Ritengo che non serva una nuova autonomia differenziata, ma si dovrebbe attuare l’autonomia prevista dalla legge 3/2001 tenendo conto delle conquiste degli ultimi anni.
Anche la Corte Costituzionale è intervenuta più volte a specificare il valore costituzionale dei principi sanciti negli articoli 33, 34, 116 e 117 in materia di istruzione, rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione”, principi che “richiedono di essere applicati in modo necessariamente unitario ed uniforme su tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione”.
AUTONOMIA DIFFERENZIATA OGGI
Il 25 gennaio c.a. il disegno di legge sull’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ha ottenuto il via libera del Senato quale riconoscimento da parte dello Stato alle Regioni a Statuto ordinario di autonomia legislativa su materie che oggi sono di competenza concorrente, come l’istruzione.
L’idea alla base della proposta di legge sull’autonomia differenziata è l’applicazione del principio sancito dall’art. 116 della Costituzione (“ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”). A tale scopo, la bozza del disegno di legge prevede che il trasferimento delle competenze legislative e amministrative e delle risorse corrispondenti potrà avere luogo soltanto a seguito della definizione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP), che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. La definizione dei LEP è demandata, secondo quanto affermato nella bozza del disegno di legge, ad apposito DPCM, atto del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanare entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge stessa, ma decorso inutilmente tale termine, “si provvede con atto avente forza di legge”.
Le Regioni dovranno fare in modo che gli standard minimi dei servizi siano garantiti.
Per quanto riguarda la scuola l’Autonomia differenziata, di cui al disegno di legge odierno, delinea un nuovo modello organizzativo con il rischio di una scuola e un’Italia a più velocità, perché vuole introdurre ulteriori forme di autonomia regionale, permettendo alle Regioni di richiedere ulteriori forme di autonomia in materie di competenza legislativa concorrente e in alcune materie oggi di esclusiva competenza dello Stato.
Il rischio è che l’autonomia differenziata sia considerata come un meccanismo che, in virtù di una sorta di privilegio, consenta a singole Regioni, di solito “virtuose”, di “appropriarsi” sempre più di competenze dello Stato, oltre che di avere finanziamenti orientati a singole progettualità regionali.
Di conseguenza la crescita del bilancio regionale potrebbe ridimensionare quello statale con il rischio di non poter garantire tutti i servizi e diritti sul territorio nazionale.
Si potrebbe innestare un vero processo separatista, in cui per esempio si avrebbero a livello regionale programmi differenziati in base ai contesti con il rischio di non fare riferimento a competenze e obiettivi già definiti a livello centrale, come previsto dagli attuali documenti ministeriali, ma proposte che non avrebbero come obiettivo il raggiungimento di standard nazionali e il successo formativo per tutti gli alunni, … o sistemi di reclutamento territoriali o regionalizzazione del rapporto di lavoro dei docenti e del personale ATA con gravi problemi per le regioni del Sud dove oggi molti giovani, non trovando occupazione, cercano di entrare nel mondo della scuola spostandosi in altre regioni.
Tale tipo di autonomia, differenziando le proposte educative, avrebbe un impatto negativo sulle istituzioni scolastiche di ogni Regione, decostruendo il sistema unitario di organizzazione del sistema di istruzione nel nostro Paese.
Voglio ricordare il DECRETO 65/2017, dove si parla di una nuova governance multilivello del servizio scolastico, dove allo Stato resta sempre il potere di salvaguardia degli interessi nazionali, di indirizzo, di controllo, e sono previste le funzioni delle Regioni, e dei Comuni.
Viene attribuito alle REGIONI e ai COMUNI un fondamentale ruolo di partenariato nella programmazione e nel monitoraggio e uno specifico protagonismo nell’attivazione del sistema scolastico sul proprio territorio, costruendo dei luoghi di concertazione politica e tecnica a legislazione invariata.
LA CONFERENZA STATO-REGIONI-AUTONOMIE LOCALI rappresenta la sede appropriata per comporre le diverse istanze partecipative e decisionali territoriali, ma dove viene ribadita la competenza sovraordinata dello Stato.
Si al decentramento, ma deve corrispondere un forte potere centrale, dove il potere politico si coniughi con le politiche scolastiche, non le influenzi.
Con questo tipo di autonomia c’è il rischio di una più profonda divisione tra i cittadini italiani, relativa alla qualità dell’istruzione impartita, infatti la regionalizzazione della scuola è il difetto più pericoloso per l’unità e per l’identità culturale italiana.
Si verificherebbe un ampliamento dei divari territoriali, già oggi molto marcati, con una spaccatura insanabile tra regioni povere e regioni ricche con un sistema di istruzione frammentato e non unitario.
Le nuove funzioni differenziabili non dovrebbero estendersi sino al punto di comprendere quelle funzioni che vanno mantenute al livello centrale per consentire l’efficiente ed efficace erogazione del servizio pubblico sull’intero territorio nazionale, assicurando una stabilità dei principi generali nazionali di istruzione.
Non solo, quindi, un paese unito per territorio, ma anche coeso dal punto di vista dei valori culturali, politici, etici e sociali in un processo che vede tutto il popolo italiano unito da vincoli di solidarietà e dal rispetto dei principi fondamentali previsti nella Costituzione.