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La pace o la guerra? Discernere o soccombere?

CRISI

<< L’etimologia di crisi deriva senza dubbio dal verbo greco krino = separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa in quanto vuole significare un peggioramento di una situazione. Se invece riflettiamo sull’etimologia della parola crisi, possiamo coglierne anche una sfumatura positiva, in quanto un momento di crisi cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un rifiorire prossimo.>> (Fonte : etimoitaliano.it)

            Non vi è alcun dubbio che la pandemia di COVID19 ha determinato una situazione di profonda crisi di ordine globale, ma, se anziché lasciarsi intrappolare da incontrollabili superstizioni e ricorrenti paure xenofobe, ci fermiamo a riflettere, accogliendo l’accezione positiva del termine crisi, possiamo, forse, sperare in un efficace contrasto al virus e in un superamento delle negatività di cui la pandemia è portatrice.

La proposta di lettura degli articoli che seguono la presente riflessione, ed eventuali personalizzati approfondimenti da parte dei lettori di questo spazio web, potrebbe essere accolta come opportunità per vivere questo tempo di crisi per separare, discernere, valutare il messaggio inscritto nella vicenda del COVID19. Peraltro, vista la portata del fenomeno (PANDEMIA) si può ragionevolmente credere che esso potrà essere più efficacemente combattuto a condizione che l’altruismo, la solidarietà, la benevolenza, la cooperazione e l’intelligenza prevalgano su egoismo e fanatismo patriottico, odio, competizione, conflittualità e stupidità umane.

Oggi, più che mai, emerge con la drammaticità del nostro tempo, la necessità per gli uomini di scegliere consapevolmente –  e con la dovuta tempestività in termini storici – se continuare  a praticare lo stile della guerra o quello della pace; lo stile xenofobo (l’altro è il mio nemico) o lo stile altruista (<<è il tu che fonda l’io>>: Martin Buber): lo stile del riconoscimento, dunque, dei diritti che soltanto si fondano a partire dalla nozione di obbligo nei confronti degli altri e dello stesso kosmo in cui tutti alla fine siamo immersi. E, in effetti, i diritti umani sono di fatto misconosciuti e tantomeno attuati se ciascun individuo, e le istituzioni politiche che si dà, non assume in sé la nozione di  obbligo (<<… l’adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono nei suoi confronti, obbligati a qualcosa… >> Simon Weil: La prima radice).

            E poi, a ben pensarci un desiderio non puramente egoistico, come quello della pace, può essere egocentrico se vissuto in maniera parziale: la pace e la felicità del gruppo di appartenenza giustifica la guerra verso gruppi esterni. Ed è soltanto nella misura in cui il desiderio di evitare la guerra diviene comune a tutta l’umanità che si può realizzare la pace e instaurare un pacifico governo internazionale. Ciò richiede che i diversi desideri umani siano tra di loro “compossibili” (B. Russel: Un’etica per la politica) e, quindi, il passaggio dallo stile della competizione (che vuole sempre un vincitore assoluto e un vinto totalmente soccombente (“mors tua vita mea”) a quello della cooperazione che comporta un risultato finale di appagamento degli interessi generali e quindi ad un miglioramento della condizione umana di ciascun individuo.

I due articoli proposti in questo blog sono legati da un filo rosso che mette a nudo il problema di fondo delle Istituzioni europee, ovvero il mancato passaggio degli stati europei dallo stile egocentrico e competitivo a quello della cooperazione e del riconoscimento del valore degli altri popoli e delle culture di cui sono portatori. Uno stile, quello competitivo, che non permette di bandire definitivamente dalle relazioni internazionali quello che Luigi Einaudi ha definito il “seme malefico della guerra”: il nazionalismo,  che ancora oggi ricorre nelle sue più recenti forme di sovranismo populista e violento fanatismo patriottico. E l’amara vicenda, poi, del confine fra Turchia e Grecia non è altro che uno scenario di dolore e di violenza alimentato da una concezione parziale della nozione di diritto umano inteso più come prerogativa privilegiata di una parte dell’umanità a danno dell’altra che come prerogativa universale dell’intera specie vivente. Ed anche in questo caso, dunque, fintanto che i diritti non vengono resi “compossibili”: resi tali dallo stile della cooperazione, della solidarietà, della benevolenza e dall’intelligenza, non si potrà intravvedere alcuno spiraglio di salvezza umana. Anche questo caso in definitiva mette a nudo i nodi mai risolti della precarietà ed inefficacia degli strumenti giuridici di politica estera delle Istituzioni europee fintanto che rimangono ostaggio degli stati nazionali.

Lucia Muscetti

Queste le due riflessioni cui fa riferimento Lucia Muscetti:

Le ragioni dell’impotenza delle istituzioni UE

La crisi migratoria sul confine greco: colpa dell’Europa o colpa degli Stati nazionali?

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