Close

Il valore educativo dell’attesa al tempo del Coronavirus

Come vivono i nostri bambini questo tempo? Noi umani viviamo un tempo ordinario in cui sono scandite le nostre azioni abituali della giornata, della settimana, del mese e persino dell’anno. Anche i bambini vivono il loro tempo ordinario fatto di azioni che si susseguono cronologicamente: svegliarsi, fare colazione, andare a scuola, andare in piscina, ecc.

In questo momento loro avvertono un sentimento particolare: la perdita del tempo ordinario! Oltretutto il tempo straordinario di questi giorni è diverso da quello delle vacanze, pieno di giochi, di divertimenti, di aggregazioni gioiose persino fra adulti. Quello di oggi è un tempo nuovo e non sempre comprensibile.

Dobbiamo aiutarli a gestire bene questo tempo che rischia di diventare troppo pieno o troppo vuoto, troppo leggero o troppo pesante. Diventa troppo pieno quando, sotto la preoccupazione dei giorni di scuola che si perdono, genitori e docenti sommergono i bambini di compiti scolastici, siano essi proposti con la didattica a distanza oppure con le tradizionali modalità, consigliate tramite whatsapp. Diventa troppo vuoto quando i bambini vengono lasciati liberi di gestire il loro tempo che risulterà ancora di più “vuoto” soprattutto se riempito con videogiochi o con l’uso dei social, se più grandi. Est modus in rebus: la misura tra i due poli estremi è la migliore risposta educativa.

Affinchè non diventi troppo leggero troppo pesante è utile far vivere e sperimentare ai bambini una dimensione del tempo che ha una grande forza educativa: l’attesa.

La perdita del tempo ordinario crea anche in loro, e non solo in noi adulti, disorientamento, incertezze, preoccupazioni e paure. Non dimentichiamo che noi siamo spinti dalla coazione a ripetere, di freudiana memoria, da cui ricaviamo sicurezza, tranquillità e fiducia che vengono meno quando si interrompono le ritualità secondo cui sono scandite le nostre azioni. Queste incertezze, preoccupazioni e paure aumentano nei bambini quando vengono lette, per quanto celate, nel viso dei propri genitori e delle persone care.

Non voglio dire che dobbiamo nascondere loro i nostri timori e i nostri dolori. Ai bambini non bisogna nascondere nulla, ma abbiamo il dovere di aiutarli a vivere bene questo tempo. Prima di tutto ci dobbiamo sforzare di trasmette loro l’attesa di tempi migliori, la fiducia nelle capacità degli uomini di saper affrontare le sciagure che si possono incontrare nella vita, la speranza che possa tornare a risplendere il sole.

Una speranza non riposta nell’evanescenza, ma nell’operato di ciascuno di noi e soprattutto di chi è impegnato in questo momento in prima linea a combattere il virus. L’attesa del tempo migliore si realizza se ciascuno di noi e ciascuno di loro rispetta le regole che ci sono state suggerite, ne comprende il significato scientifico ed etico: servono a non essere contaminato e a non contaminare gli altri! Facciamo in modo che questo momento porti avanti uno degli aspetti assegnati all’insegnamento dell’Educazione civica,(re)introdotta recentemente nelle scuole di ogni ordine e grado: il rispetto delle regole. Già nella Premessa alle Indicazioni nazionali del primo ciclo si legge: Insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato, perché sono molti i casi nei quali le famiglie incontrano difficoltà più o meno grandi nello svolgere il loro ruolo educativo.

Facciamo anche comprendere che l’attesa del tempo migliore si realizza grazie al lavoro di tante altre persone: medici, infermieri che con responsabilità, dedizione, sacrificio e rischio si occupano dei contagiati; persone di scienza ed esperti impegnati a suggerire le misure idonee per affrontare questa epidemia; responsabili degli organi di governo che comunque devono assumere decisioni nella ricerca del bene comune. Sarebbe bello far comprendere che ciascuno di noi può rimanere in vita grazie ai propri e agli altrui sforzi. Se più grandicelli potremmo anche introdurre il concetto di Hanna Arendt secondo cui l’esistenza non esiste, ma esiste solo la co-esistenza: esistiamo solo se ci sono gli altri intorno a noi che ci forniscono ciò di cui abbiamo bisogno. Se ancora più grandi potremmo consigliare loro di leggere un romanzo, datato ma ora molto attuale, La dissipatio H. G. (dove H.G. sta per Humani Generis) di Guido Morselli in cui il protagonista si ritrova a vivere solo sulla terra a seguito della scomparsa del genere umano a causa di una catastrofe.

L’attesa non riguarda solo un futuro migliore, ma anche l’antidoto alla fretta, alla velocità, alla frenesia con cui noi adulti gestiamo il nostro tempo e di conseguenza anche i bambini. Questa attesa, come dimensione temporale, per non essere evanescente e non percepibile deve accogliere un’altra categoria: la lentezza. Abituarci e abituarli a compiere le tradizionali azioni di tutti i giorni con maggiore distensione, senza fretta e frettolosità, a rallentare le azioni tradizionali per assaporarle maggiormente, per riflettere sul loro significato e per trovare una maggiore interiorizzazione dell’agire in modo che possa perdere la stereotipia imposta dalla fretta di tutti i giorni. La lentezza può riguardare il tempo che viene dedicato al mangiare insieme, all’igiene personale, al mettere ordine nella propria cameretta, al preparare un gioco collettivo, ecc. Pensiamo anche alla pedagogia della lumaca di Gianfranco Zavalloni secondo cui: La scuola odierna, riflettendo le tendenze di buona parte della società umana, è centrata sul mito della velocità, dell’accelerazione e della competizione, come criterio di selezione al quale i bambini vengono educati fin dai primi anni di vita.

Forse è l’occasione per noi genitori e insegnanti di leggere il libro di Lamberto Maffei che ha proprio questo titolo: Elogio della lentezza. Non possiamo sottovalutare le sue riflessioni: Il desiderio di emulare le macchine rapide create da noi stessi, a differenza del cervello che invece è una macchina lenta, diventa fonte di angoscia e di frustrazione … La netta prevalenza del pensiero rapido, a partire da quello che esprimiamo attraverso l’uso degli strumenti digitali, può comportare soluzioni sbagliate, danni all’educazione e perfino al vivere civile.

L’attesa riguarda anche il saper procrastinare il proprio desiderio. In questi giorni, per evitare la solitudine e la noia, è facile che i bambini ci chiedano di avere giochi e giocattoli con cui riempire il proprio tempo. È facile anche che noi adulti (genitori, nonni, parenti e amici), trasportati dalla carenza dell’ordinario, possiamo essere portati ad assecondare i loro desideri ed a riempire le camerette di giocattoli nuovi. Facciamo in modo che sappiano desiderare ciò che ci chiedono procrastinando la soddisfazione dei loro desideri e persino abituandoli alla rinuncia in alcune occasioni.

Il “tutto e subito” ha fatto scomparire dal mondo del bambino l’attesa che genera il persistere del desiderio che, a sua volta, è fonte di piacere talvolta più del suo soddisfacimento. A noi adulti capita spesso di chiedere ai bambini di attendere, ma questa attesa viene solo richiesta, e non sempre fatta sperimentaree accompagnata dall’adulto mediante la riflessione sui sentimenti che essa suscita. È la sperimentazione concreta dell’attesa che porta alla costruzione di un abito psico-mentale che ci permette anche di saper rinunciare, quando necessario.

L’attesa di un futuro migliore, la lentezza delle azioni ordinarie, l’attesa nella realizzazione di un desiderio, ci permettono anche di far maturare l’idea che il “tempo di attesa” non sempre è un tempo negativo che genera insofferenza. Quante attese ci rendono nervosi: attesa del treno, nelle sale d’aspetto, nelle file ai servizi pubblici? Forse siamo schiavi del tempo. Forse il recupero dell’attesa ci può aiutare a non prendere subito il cellulare appena abbiamo sentito lo squillo che ci annuncia un SMS in arrivo e a non chiamare l’amico al telefono dicendogli: ti ho mandato un sms, perché non hai risposto?

Un ultimo orientamento: affinchè, al tempo del coronavirus, il tempo dei nostri bambini non sia troppo pieno o troppo vuoto, troppo leggero o troppo pesante, riempiamo l’attesa con la lettura perché: “Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito … perché la lettura è un’immortalità all’indietro” (Umberto Eco).

Prof. Carlo Petracca
già Ispettore e Dirigente Generale MIUR, docente presso Università LUMSA e Università di Chieti

scroll to top