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A volte ri-sbarcano…

Il nuovo  “sbarco”  al Ministero dell’Interno del leghista Molteni,  quale sottosegretario,  ad esito  delle laboriose alchimie  con cui il “bipolare” gabinetto  Draghi  ha completato la squadra di governo, ha sollevato, come era prevedibile reazioni contrapposte. Per una parte forte  plauso, non senza qualche punta di revanchismo;  disagio per altri in ragione dei   cupi ricordi riaffiorati a causa di  una normazione, i noti decreti sicurezza (denominati Salvini, ma che recano anche la firma del suddetto parlamentare),  che in più punti presentava tracce evidenti di oscurantismo legislativo.

Materia della contesa, come detto   la questione immigrazione e  i decreti succitati,  approvati  durante il primo governo Conte, “ostentato trofeo” del Ministro dell’Interno protempore Salvini, il quale ha poi dovuto “subire” la loro modificazione nel corso del  Conte bis, con la Prefetta Lamorgese al vertice del medesimo  dicastero.

Il rimarcato diverso sentire della politica – e devo aggiungere della comunità –  in materia di immigrazione credo sia efficacemente sintetizzato dalle dichiarazioni rilasciate da Salvini e Provenzano all’indomani della approvazione della riscrittura, ancorchè  parziale,  dei decreti in commento.

L’ex ministro dell’Interno ha parlato di modifiche peggiorative: “Si torna alla mangiatoia, si torna alla pacchia, per scafisti, trafficanti e finte cooperative. Non penso sia quello di cui ha bisogno il paese”.

Il Ministro per il Sud e  la Coesione territoriale ha  sottolineato, invece, l’importanza dei  cambiamenti : “Quando si recupera un ritardo sui diritti o si corregge un errore non bisogna mai esultare. Rimuovere l’obbrobrio dei decreti Salvini era un atto dovuto e ci abbiamo messo anche troppo tempo per farlo”.

Dopo aver  segnalato  la differente cifra espressiva dei due interventi soprariportati, giova osservare che  la grossolanità delle tesi leghiste, ben lungi dal restare confinate negli ambiti  del  linguaggio politicamente scorretto,  hanno per lungo tempo segnato la vulgata ostile in materia di immigrazione  e relative  politiche. Un propaganda  criminalizzante e disvalorizzante della cultura della solidaretà innervata nelle esperienze cooperativistiche operanti nel settore della accoglienza,  che ha avuto grande presa su larghe fasce della popolazione.

Vale qui rammentare, incidentalmente, la furia patibolare con cui la destra estrema e razzista ha speculato (e continua a farlo, quasi con una sorta di coazione a ripetere)  strumentalmente sulle indagini  nei riguardi di cooperative e ong.   operando con oscena evidenza ( come direbbe il sociologo francese Bradillard) le note generalizzazioni etichettanti e sollevando scomposti clamori che non rispettano la complessa attività degli inquirenti e la non facile  ricerca della verità dei giudicanti.

In quella temperie, pertanto, scandita anche dalla urlata e torva  chiusura dei porti, sono precipitati i decreti Salvini che hanno toccato il punto più basso della legislazione sulla immigrazione in Italia.

La modifica intervenuta, come detto, con il governo Conte bis (d.l. n. 130/2020, convertito dalla l. n. 173/2020) ha apportato  alcune correzioni  che proviamo a sintetizzare:

1) introduzione del soggiorno per protezione speciale che ripropone il soppresso per motivi umanitari ( oggi  previsto anche nell’ipotesi in cui l’allontanamento colpirebbe un migrante  che di fatto ha consolidato all’interno del nostro Paese una sfera di vita familiare e personale, con legami sociali, culturali, lavorativi, ecc., tali da determinare una violazione del diritto fondamentale sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo),  per calamità e per assistenza ai minori (dopo che i genitori ottengono dal Tribunale competente a restare nel territorio nazionale) . Di tali permessi di soggiorno ne è prefigurata la convertibilità in permesso per motivi di lavoro;    l’estensione delle maglie che consentono di riconoscere il permesso di soggiorno per cure mediche e la sua trasformabilità in permesso di lavoro.

2) rimodulazione del sistema di accoglienza che cambia denominazione in  “Sistema di accoglienza e integrazione” (SAI). Esso  prevede un parziale recupero del ruolo degli enti locali e vengono allargate le condizioni che consentono di attivare l’accoglienza anche nei confronti dei richiedenti asilo e di una serie di altre categorie di migranti che si trovano nel territorio italiano. Colma  la novella normativa quel vuoto creatosi dopo lo smantellamento del vecchio sistema dell’accoglienza ( denominato  sprar) e che aveva dato causa al tragico riversarsi sul territorio di una schiera di stranieri illegalmente presenti sul territorio nazionale andata ad ingrossare la sacca della clandestinità.

3) altre modifiche attengono: al rispristino  dell’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, il cui divieto prima vigente  la Corte costituzionale con la sentenza n. 186 del 2020 aveva già  dichiarato illegittimo; alla  riduzione dei termini massimi di trattenimento dello straniero ( entrato illegalmente ) nei centri per il rimpatrio (CPR), cosi rinominati i precedenti centri di identificazione ed espulsione (CIE), che vengono ridotti a 90 giorni (dai 180 precedenti), prorogabili di ulteriori 30 giorni nel caso in cui lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l’Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri. È introdotta però la flagranza in differita per chi organizza proteste e danneggiamenti all’interno dei Centri per il rimpatrio, norma che non era presente nel decreto sicurezza.

Per quanto riguarda il profilo della cittadinanza viene ridotto il termine massimo di espletamento della procedura per il riconoscimento della cittadinanza italiana da 48 mesi a 36 mesi. Con i decreti sicurezza il termine massimo era passato da 24 mesi a 48 mesi. Con la modifica non si torna alla condizione originaria ma si sceglie una via intermedia.

4) L’ultimo aspetto riguarda la pesante penalizzazione  messa a punto dai decreti Salvini in materia di ’accesso ai porti e alle acque territoriali  e  delle azioni di salvataggio in mare con la previsione di altissime somme a titolo di sanzione pecuniaria elevatissima e la confisca del natante, tesa, nei fatti, a paralizzare  l’opera delle Ong, assimilate dalla martellante propaganda salviniana  ai trafficanti di uomini. Da questo punto di vista, le modifiche che vengono introdotte non intaccano sostanzialmente l’impianto già in vigore. Ferma restando la centralità sostanziale del Ministero dell’Interno nel disporre gli eventuali divieti, si interviene sul sistema sanzionatorio riducendo le multe precedentemente previste (la raccomandazione del Presidente Mattarella in sede di conversione). Alla attenuazione delle conseguenze economiche, fa però riscontro un appesantimento del sistema sanzionatorio  perché accanto alla multa viene introdotto (prima non prevista) la sanzione di natura penale con la reclusione fino a 2 anni a carico del capitano della nave che abbia violato i divieti.

5) modeste le  modifiche che attengono al cosiddetto DASPO urbano, già introdotto dall’art. 9, c. 1 del d.l. 20 febbraio 2017, n. 14. (decreti Minniti). Il decreto de quo ha demandato (ai sindaci) alla potestà regolamentare di polizia urbana la possibilità di ampliare il novero dei luoghi pubblici ove può essere applicata la misura in oggetto, includendovi istituti scolastici e universitari, aree museali, siti archeologici, complessi monumentali, aree adibite a verde pubblico e luoghi di interesse culturale o comunque interessati da considerevole afflusso turistico. Tale elenco è stato integrato dal c.d. decreto sicurezza o decreto Salvini (d.l. 113/2018, conv. in legge 132/2018), che vi ha incluso anche i presidi sanitari e le zone che ospitano fiere, mercati e spettacoli (art. 9 del decreto), permanendo inalterato l’impianto precedente. L’istituto come detto, già  introdotto dal Ministro Minniti, presenta profili discutibili per la tipologia di alcuni destinatari in ragione del bene tutelato :il  decoro urbano. E’ di tutta evidenza che non si sollevano osservazioni critiche sulla opportunità di interdire luoghi “significativi” della città ai soggetti portatori di pericolosità sociale,  ancorchè solo potenzialmente e seppur  alla stregua di taluni elementi fattuali e giuridici  in tal senso conducenti. Ben altro e ben oltre è – al contrario- il rischio che l’analogo potere sia esercitabile  anche nei riguardi di soggetti,  in assenza di un  fondato giudizio prognostico di pericolosità, ma  solo in quanto per la loro  evidente  marginalità sociale, vulnerano  il decoro dei luoghi e   il modo di vivere altrui. La finalità che  l’apparato di pubblica sicurezza intende  raggiungere non sembra essere, pertanto,  lo scongiurare un delitto quanto, semmai, lo stigmatizzare un modo di essere (vivendi) di alcuni che di per sé rischia di nuocere alla sensibilità di altri. In altri termini, il barbone, il senza fissa dimora e male in arese, il postulante l’elemosina, sono trattati come un arredo urbano vandalizzato che va rimosso per non violare la bellezza  dei luoghi e dei contesti fisici e la emotività e la buona coscienza degli abitanti e dei city users. Si materializza cioè la reificazione dell’uomo ed il bisogno di rimuovere i segni della povertà (della colpa)  per non turbare il turista ed il benpensante,  spostando magari  “il problema”  verso le periferie e le aree meno in vista.  Soggetti  ai quali, invece e  molto più efficacemente andrebbero rivolte le misure  che l’art. 4  d.l. 20 febbraio 2017, n. 14, chiama di “eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale”.

La politica, gli esperti di settore, i rappresentanti del mondo della cooperazione e della solidarietà  ( Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) Action Aid, Amnesty International, Open Arms e Medici senza frontiere, ecc) , la comunità nelle sue diverse articolazioni, come scrivevo,  hanno palesato nei riguardi della novella normativa pareri contrastanti, oscillanti  tra  approvazione e deboli apprezzamenti da una parte e dura critica dall’altra.

E’ indubbio che la modifica in argomento è  intervenuta sul livello più basso della  normativa in materia di immigrazione  e della sua  parabola costantemente discendente. Ne rappresenta, pertanto, una inversione di tendenza ( per le positività evidenziate), senza, tuttavia, segnarne un punto di rottura.

Persiste, in buona sostanza,  l’approccio fondamentalmente securitario che ha ispirato le modifiche legislative negli ultimi anni. Si rinviene ancora – ed in parte non residuale,  nella vigente legislazione sulla immigrazione  la logica   del difendersi  dal diverso da sé, avvertito come un pericolo. Tanto più ciò accade in tempi di precarietà economica in cui  l’estraneo viene visto come un concorrente, che indebitamente sottrae le già poche risorse.  Questo paradigma finisce per ingessare il sentire diffuso e trasversale  delle popolazioni autoctone sulla polarizzazione amico/nemico, sviluppando una sorta di ego bellico sempre in conflitto con quanti ritenuti violatori del proprio spazio prossemico, vitale.  Su questi sentimenti negativi ( trasformatesi progressivamente in pulsioni) hanno lavorato strumentalmente “gli imprenditori della paura” e segnatamente i politici della destra  radicale e sovranista,  per accumulare consensi. A questa “partita a perdere” non è riuscita a sottrarsi la sinistra che,  incapace di divincolarsi dallo schema descritto, si è avventurata sul terreno del pragmatismo neutro e deideologicizzato, che ben lungi dal farle guadagnare l’audience auspicata (anche pezzi non marginali della  gente di sinistra erano rimasti avviluppati nelle spire di una regressiva  guerra tra poveri), ne ha allontanato quanti si riconoscevano profondamente nei suoi ideali. Emblematica in tal senso l’ esperienza  del Ministro Minniti che , come prima detto,  con lo slogan che la sicurezza non è una parola di destra (singolare che oggi Salvini dica l’esatto opposto e che cioè la sicurezza non è una parola di sinistra )  con piglio pragmatico e  decisionista, tutto teso al risultato ha  abbattuto, per il vero,  il numero degli sbarchi, ma a prezzo di accordi con la Libia nei cui lager venivano trattenuti i migranti. Ha disegnato, cioè,  una disciplina organica della sicurezza con i decreti che portano il suo nome, ma ha fatto da apripista a quelli di Salvini.

Tutto ciò premesso si avverte la necessita di lasciarci alle spalle le secche della politiche ispirate alla immunitas che sconta una visione  hobbesiana dell’uomo (homo homini lupus) e immergersi fiduciosi in  quella aristotelica centrata sulla  vocazione alla socialità dell’essere umano. La umanità del futuro deve avere la sapienza di costruire communitas, fare delle nostre città luoghi di nutrienti relazioni, di integrazione fra diversi ( e non già agglomerati di varia umanità come le ha definite Galimberti, senza coesione e valori condivisi). Tale approccio strapperà la sicurezza  alla dimensione della mera repressione ( che nella versione regressiva salviniana è di tipo muscolare) e coglierne la polisemia ( sicurezza sociale, economica, lavorativa,  ambientale, quella connessa all’ordine pubblico, ordinato vivere civile, ecc.) che coniuga sinergicamente  funzione reattiva e proattiva (removendi malum et promovendi salutem), per ciò stesso convocando una molteplicità di soggetti chiamati ad inverarla sul territorio in un sistema  integrato.

E la migrazione in questo scenario è centrale. Scrive Raniero La valle che ” ….Lo Stato moderno, cioè lo Stato di diritto, muore o sopravvive in questo passaggio cruciale…. Infatti ci sono solo due risposte possibili  a questo problema: una è quella della destra, il rifiuto, i muri, la blindatura dei confini, i patti leonini stabiliti con la Turchia o con la Libia per ricacciare i profughi al di là del mare, o il muro che spezza a metà l’America, tra gli Stati Uniti ed il Messico; ed è su questo crinale che monta l’intolleranza e finisce la democrazia e lo Stato di diritto; oppure la soluzione è una Schengen mondiale, le frontiere che si aprono non solo ai capitali, ai beni materiali, al commercio, ma alle persone, alle famiglie, alle religioni e alle culture; e la gente che può andare a vivere dove vuole, senza tratta senza torture e senza scafisti, in nave, in aereo o per via di terra, con un semplice visto”.

Giovanni Scifo

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