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Salario minimo e dignità del lavoro

Single mother working on a computer and analyzing paperwork while her son is playing in the background at home.

Il dibattito politico sul salario minimo ha acceso i riflettori su un problema che latente da anni, con le crisi che si sono succedute (pandemia, guerra e conseguente alta inflazione), è diventato una emergenza sociale: in passato in Italia era povero chi non aveva un lavoro adesso è balzato alla ribalta il problema del “lavoro povero”!

La discussione si è incentrata sulla possibilità di indicare per legge un importo minimo delle retribuzioni, discussione che si è protratta nel tempo con vari rinvii senza mai essere stata oggetto di una votazione e che adesso è stata messa in un percorso di legge delega che c’è da scommettere si trasformerà in un binario morto.

L’Europa si è espressa sull’argomento in favore dell’indicazione di un salario minimo, ma l’Italia tecnicamente non è tra i Paesi che dovranno adottarlo in quanto il 95% dei lavoratori è coperto da contratti collettivi.

Detta così sembra che parliamo di un fenomeno marginale, se solo il 5% dei contratti sfugge alla contrattazione collettiva di cosa parliamo? Il problema è più complesso; è vero che le dinamiche salariali sono demandate costituzionalmente alla contrattazione collettiva effettuata tra rappresentanti dei datori di lavoro e sindacati, ma tutti i sindacati possono chiudere contratti collettivi ed esistono vari sindacati con scarsa rappresentanza e quindi bassissimo potere contrattuale (quando non si tratta di sindacati di comodo) che firmano contratti collettivi a basso valore reddituale e i datori di lavoro possono legittimamente scegliere quale contratto applicare.

L’assenza di una legge sulla rappresentanza sindacale che faccia chiarezza su questi fenomeni ha prodotto questa problematica, ma ancora una volta c’è di più. Dall’inizio del nuovo secolo il dilagare di un modello culturale profondamente individualista ha di fatto depotenziato enormemente i corpi intermedi della società primi fra tutti i sindacati al punto che anche i sindacati maggiori hanno perso potere contrattuale e negli anni hanno firmato contratti con paghe orarie miserrime (basti pensare che i vigilanti non armati hanno un contratto che gli riconosce tra 5 e 6 euro l’ora lordi).

Insomma il risultato è che la platea interessata da salari “poveri” è stimata in 1,3 milioni di lavoratori.

E’ doveroso dire che i partiti della maggioranza, che dall’inizio della legislatura “frenano” sull’argomento rinfacciano ai partiti di opposizione di non avere loro provveduto in passato a votare una legge sul salario minimo, ma è anche vero che solo recentemente due dei tre sindacati confederali (CGIL e UIL) hanno mutato il loro orientamento, fino all’anno scorso ritenevano infatti sufficiente per i lavoratori la garanzia della contrattazione collettiva (un peccato di presunzione da cui si sono emendati), e si riteneva problematico attuare la normativa in disaccordo con i maggiori sindacati.

Non solo, ma la situazione per i lavoratori è notevolmente peggiorata per almeno due motivi: 

  1. da una parte l’inflazione che negli ultimi 2 Anni ha eroso il 14% del potere di acquisto (che con la contrattazione viene recuperato a posteriori e non sempre integralmente); 
  2. il reddito di cittadinanza, un provvedimento che pur avendo quel che problema di attuazione rispondeva a una esigenza reale della nostra società, tra i suoi effetti aveva quello di un effetto calmiere dei salari, le persone non erano disponibili a lavorare per un salario poco dignitoso, adesso, senza quel paracadute qualsiasi salario diventa necessario, i cittadini sono alla mercé di un mercato del lavoro “liberista” che in molti casi non riesce a garantire un salario “dignitoso”!

Abbiamo osservato il fenomeno, adesso dobbiamo chiederci in che senso questo costituisca un problema!

L’art. 36 della Costituzione che rutti a parole amiamo (quando riguarda noi) e tutti ignoriamo (quando garantisce altri) recita testualmente “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e IN OGNI CASO SUFFICIENTE ad assicurare a se e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”; c’è qualcuno che possa asserire in retta coscienza che un lavoratore possa mantenere decorosamente una famiglia con una paga di 5 euro l’ora?

La cosa ancora più stucchevole è che questi contratti spesso vengano di fatto utilizzati indirettamente anche nei servizi statali; grazie all’esternalizzazione massiccia dei servizi ormai la vigilanza, la pulizia, la logistica etc. insomma tutti i servizi a supporto della pubblica amministrazione vengono effettuati tramite aste al ribasso che alla fine fatalmente si scaricano sul costo del personale.

Ci si lamenta spesso della magistratura che “fa politica”, ma nell’inerzia della politica non può che essere la magistratura a tutelare i diritti costituzionali e così è stato anche stavolta e proprio in riferimento al contratto dei vigilanti la Cassazione, con ben 6 sentenze, tre mesi fa ha affermato il principio del rispetto, anche a costo di disapplicare il contratto collettivo, del salario “costituzionalmente sufficiente”.

Ma possibile che un lavoratore debba ricorrere al giudice per il riconoscimento di un diritto costituzionale? La politica si deve interrogare se è questo uno dei motivi della disaffezione alla partecipazione elettorale.

Bancario, Giornalista Pubblicista.

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