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Jethro Tull live – Cronaca della mia prima volta

Alla non più tenera età di quasi sessanta mi ritrovo io, spirito rockettaro e “nostalgico” dei sixties, seventies & eighties, quasi casualmente ad andare a vedere per la prima volta un concerto di una delle mie band adorate di quegli anni e di adesso: i Jethro Tull. In una location particolarmente suggestiva, il Teatro greco di Taormina, dove i riff del blues e gli assoli di flauto traverso hanno assunto un sapore magico in una tranquilla e colorata sera d’estate.

In realtà per il mio io musicomane è un viaggio nel tempo a ritroso di mezzo secolo alla riscoperta di sonorità arcinote ma forse sepolte (solo superficialmente) dalla polvere degli anni. Ma soprattutto vado ad osservare dal vivo la loro anima pulsante, il loro anelito lirico ribelle, leader, cantante, flautista e polistrumentista Ian S. Anderson.

Ian Anderson 1970

Guardarlo dimenarsi, ballare, cantare, ruggire, soffiare tutto il suo essere nello strumento a fiato che ha sdoganato a favore della musica prog – rock dei mitici 70’s, sputarci dentro le sublimi melodie di una vita, è stato per me senza dubbio uno spettacolo non indifferente ed una esperienza per così dire, quasi mistica. Mi è anche uscita la lacrimuccia, alla mia età, ed alla non certamente tenera (la sua) età di settantadue (72!) anni.

INTRODUZIONE

Con intonazione tra l’orgoglioso ed il canzonatorio, anzi auto canzonatorio e favoleggiante, l’ho ascoltato  con le mie orecchie. E con i miei occhi l’ho visto  danzare come il suo Black Satin Dancer, reggersi su una gamba come un fenicottero e dondolare sapientemente l’altra scaricando dentro lo strumento a fiato tutto il suo fiato, il suo afflato vitale, in definitiva il suo spirito del Minstrel in the Gallery.

Jethro Tull anni ‘70

Ma riavvolgiamo più ordinatamente il nastro del tempo. Prologo: da sempre io sono stato un po’ snob nei gusti musicali, me lo dicono tanti amici, ed anche piuttosto stronzamente esterofilo, per me la parola d’ordine è “prima gli stranieri”, se yankee o inglesi ancora meglio, gli italiani giusto quelli “giusti” (PFM, Banco, Area, Battiato, Giovanni Lindo Ferretti, Marlene Kunz, Caparezza e poco altro) ed orfano del maestoso prog ‘70/’80 mi sono abbandonato mestamente a diversi generi, dall’hip-rock dei Rage Against The Machine al post-prog dei  Porcupine Tree, dai REM ai Radiohead nelle loro superbe malinconie, dagli accattivanti polacchi Riverside ai tostissimi Tool ed allo space-rock di God is an Astronaut ed Ozric Tentacles, ma appunto, tornando al prog anni ‘70 mi ritornano in mente, belli come sono stati, Led Zeppelin (ok non è prog), King Crimson, Genesis, Gentle Giant, Yes, EL&P, Pink Floyd (ok psichedelia) e Jethro Tull… ecco, appunto i Jethro Tull!

RIVELAZIONE

Vengo a sapere che i Jethro Tull (i JT!!!! non proprio musica neomelodica, o peggio, trap, esattamente i JT!!!) terranno un concerto nella splendida cornice del teatro antico di Taormina il 23 giugno 2019, ed io che faccio? Sarebbe la mia prima volta con i JT, conosco tutto di loro, i testi a memoria, ma mai visti dal vivo.

Mi faccio vincere ovviamente dalla mia notoria pigrizia (siddìo) e quindi declino garbatamente l’offerta da parte di amici, i due fratelli Carfì, Gianni ed Enzo, e Gianni Tidona (u Bolivianu) di un posto miracolosamente resosi libero causa defezione una settimana prima. Faccio quasi subito dietro-front chiedendo invece agli stessi cari amici di tenermi il biglietto dato che, sotto minaccia armata, da 1000 km di distanza, mio figlio mi proferisce frasi irripetibili, con promessa di percosse violente (lignati), e quindi, per non turbare il sempre precario equilibrio familiare, è deciso, vado a vedere i JT.

VIAGGIO E ATTESA

Allora si parte in quattro da contrada Bruscè alle quattro p.m. di domenica 23, in larghissimo anticipo, con buona parte della discografia dei JT sapientemente selezionata dal mio io “tulliano” (ora, se ancora non s’è capito, io la discografia dei JT la posseggo tutta ed anche nei vari formati concessi agli anziani come me, LP e CD, dato che li ho amati assai in gioventù ed ho continuato nella maturità a comprare tutto ma proprio tutto, anche le loro cose peggiori, e me la sono ricomprata, la discografia, tutta un’altra volta, e come se non bastasse me ne vanto) e con Minstrel in the Gallery si comincia a viaggiare. Alle 18,30 siamo già ampiamente posteggiati (parcheggio Lumpi) con un 33 cl. di Nuova Birra Messina cadauno in corpo.

Foto, passeggiata in relax sul corso ed arriva via whatsapp  la scaletta del concerto: astonishing & breathtaking direbbero a Malta. Diciotto brani tra cui 5 (5!!) dal primo LP This Was anno domini 1968 (embè ero un settenne) disco di apertura molto rock-blues, capolavoro (va bene, che lo scrivo a fare, tutti sono capolavori, quindi ometto di scriverlo per quanto possa riuscirvi), 3 (3!!) da Aqualung, capolavoro (ok non riesco) e vari altri da Stand Up, Thick as a Brick, A Passion Play, Songs from the Wood, Heavy horses (ce l’ho fatta!). Poi mi calmo, ragiono: ma certo, è la turnèe del 50° anniversario, DEVONO fare questa scaletta  con i primi album. Bene, galvanizzato, insieme ai miei compagni di avventura  ci dirigiamo lentamente verso l’ingresso del teatro antico.

I.A. fenicottero

E, accalcati in coda, notiamo una prima, inquietante, situazione: si, ci sono più giovani, ma non tanto più giovani (per la cronaca tra noi quattro ci siamo due fifty-eigth e due over sixties, almost seventy) e con un rapido calcolo oculare faccio la media aritmetica delle età, che risulta certamente over fifty. Forse anche sixty. Ma tutti, proprio tutti quei tre o quattromila, non ho contato bene, siamo “too old to rock and roll too young to die”, tra l’altro lui, il seventytwoer  I.A. l’ha pure cantata “alla stragrandissima”. Prendiamo posto quasi centrale con calma, poca ressa, nella cavea senza posto fisso. Lontani dal palco ma non troppo. Bella sera non c’è un alito di vento ma neppure caldo, splendido il colpo d’occhio, i miei compagni si gustano il panino col prosciutto che io, vegetariano, stavolta (non è birra!!) declino fermamente e quasi sdegnosamente.

Nelle due ore d’attesa scorre un nastro registrato con brani dei JT, cosa che io apprezzo tantissimo mentre invece un signore davanti a me dice che avrebbe preferito musica classica o altro perché così gli “si rovina l’appetito”. Tot capita tot sententiae. Nelle due ore d’attesa il nastro registrato scorre almeno due volte (quindi registrazione non molto lunga, bisogna dirlo alla produzione, perché io me ne sono accorto!!) e però noto anche che contiene brani non meno famosi presi dagli album in scaletta. Spiegata la mia soddisfazione, con buona pace del signore che voleva ascoltarsi la classica. Tra una cosa ed un’altra, alle 21.15 compare il tipo che annuncia che tra poco inizierà il concerto, si prende gli applausi anche se confessa di non essere I.A. (spiritoso…), ancora applausi e risate mentre notifica il divieto di fare foto o comunque di usare flash, e scompare.

SHOW E RICREAZIONE

Alle 21.29 IN PUNTO si abbassano le luci ed iniziano a suonare.  LO VEDO Mr. IAN fenicottero ANDERSON, WOW. Si parte col rock-blues sparato di “My Sunday feeling” (era domenica 23 giugno) “Love story” e “Song for Jeffrey” ed altri due dal primo album. Che dire? Il tempo pare si sia fermato per lui, e per tutti noi, e si che il trentaseienne chitarrista Ophale, che ha preso degnamente  il posto dello storico Martin “Lancelot” Barre, potrebbe essere suo nipote nel senso di figlio di suo figlio.

Jethro Tull 2019

Ma tutta la band, ennesima reincarnazione dei Jethro Tull, suona divinamente e prosegue con “A new day yestertday” e “Bouree in E minor” (Biurreiiiiii….) e dopo una breve suite riecheggiante Thick as a Brick e A Passion Play, senza accorgerti che è già trascorsa un’ora, succede quello che non avresti mai immaginato: ricreazione!!!! Dice, lui, e dice che possiamo comprare le magliette allo stand. Ma, tranquilli, solo un quarto d’ora di intervallo.

E va bene, sono seventytwo, ci mancherebbe altro, figuriamoci questo. Al 16° minuto già il nuovo abbassarsi delle luci. Ma ‘sto tipo di Blackpool con la sua band è di una puntualità disarmante e ricomincia a prenderci in giro canzonandoci tutti con “too old to rock and roll too young to die”; prosegue con altri brani da Songs from the Wood, Stormwatch, Crest of a Knave, Heavy Horses e si arriva alla fine. Al delirio finale.

Un album due brani (il terzo, My God,monumentale, l’avevano suonato prima della ricreazione). Da Aqualung, signore e signori, Aqualung e Locomotive Breath. O meglio, Aqualung, fine del concerto, applausi senza termine, bis UNICO Locomotive Breath. Delirio e lacrime. Si, lo devo ammettere. Mi sono commosso.

CONCLUSIONI A CALDO

Fine davvero. Non ci si crede. Ma proprio senza parole. Performance strabiliante e mozzafiato, tanto per tradurre i due aggettivi scritti prima. Strabiliante è che un settantaduenne inglese di Blackpool, polistrumentista autodidatta, passando dal blues al rock al progressive senza disdegnare la classica, abbia rivoluzionato la musica prog – rock di quegli anni introducendo una atipicità strumentale, una singolarità quantistica (strumento a fiato) come il flute (non il thin whistle che, pure, suona, e bene) cioè il flauto traverso ed avendo inoltre fatto scuola, tanti altri anche in Italia seguirono il suo esempio (Mauro Pagani nella PFM ad esempio ma non solo). Strabiliante è che lui sia passato indenne attraverso 50 anni di Jethro Tull, sapendosi reinventare con nuovi bandmates fino a perdere l’ultimo, il fidato chitarrista Martin “Lancelot” Barre e sostituendolo praticamente con suo nipote.

Ian Anderson a Taormina

Strabiliante che dove non lo soccorre la voce, ormai quasi tutta andata (ma d’altra parte non ha avuto una voce decisiva neanche da giovane), col flauto fa miracoli, sembra proprio anzi un prolungamento della voce, gorgheggia, grugnisce, sibila, s’arrabbia e cinguetta, forse anche bestemmia, praticamente esperisce suoni che mai diresti escano da un flauto traverso. Strabiliante vederlo danzare appeso ad una sola gamba come una delle tante divinità di cui suona e canta nel suo sublime album solista “Divinities” e l’altra penzoloni quasi contro le leggi della gravità, o piroettare in perfetto misterioso innaturale equilibrio, assumendo la tipica ed usuale (per lui) parvenza di un fenicottero.

CONCLUSIONE A FREDDO

Non è stato un caso, ripensandoci, se a 18 anni, per celia a carnevale, ho infilato una calzamaglia bianca ed un gilet a quadri, i capelli lunghi li avevo ed il pizzo pure, ho appeso alla cintura un flauto (dolce però !!) travestendomi del mio idolo che è rimasto tale dopo ben più di 40 anni. Il lento deflusso dal teatro e dal parcheggio ed il ritorno  a casa sono stati superati senza grossi stress, conservando sulle retine l’immagine di un settantaduenne con lo spirito di un venticinquenne che ha suonato per me note per me stranote, dopo aver assorbito tanta bellezza musicale. Thank you very much, Mr. Ian Scott Anderson, so long, cheerio and congratulations for your seventytwo. Long live rock!

SETLIST J.T. TEATRO ANTICO TAORMINA 23-06-2019

Nuccio Dimartino,
Insegnante di matematica, fisico nucleare antinuclearista, vegetariano, musicomane. Tifoso della squadra dai colori più belli al mondo che combatte contro l’impero del male.

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