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Avis e coronavirus a Ragusa

Le ragioni di un successo e una risposta necessaria alla paura immotivata

I 25.862 donatori di sangue della provincia di Ragusa, nel 2019, hanno donato 40.407 unità di sangue, 472 in più rispetto al 2018. L’obiettivo ambizioso che l’Avis provinciale si era prefisso, “quota 40.000”, è stato raggiunto e superato.

L’autosufficienza ematica della provincia di Ragusa è stata garantita e rafforzata, ed è stato fornito anche un consistente contributo alle necessità delle provincie di Palermo, Catania e Messina.

Il fabbisogno provinciale è stato soddisfatto, per il secondo anno consecutivo, anche per la stagione estiva, specie nel mese di agosto quando le vacanze tendono a distrarre i donatori da una responsabilità civica e umanitaria necessaria alla vita dei malati che in estate, negli ospedali, non vanno in vacanza.

A dicembre, invece, anche per effetto dei giovani universitari e lavoratori emigrati che tornano a casa per le festività natalizie, si registra anche un esubero di donazioni rispetto al fabbisogno, rendendo opportuno ricordare ai donatori di non concentrare le loro disponibilità in quel periodo ma di rinviare, se possibile, al mese di gennaio.

L’Assemblea provinciale che si terrà il 14 marzo pomeriggio nella sede associativa di Ragusa, alla quale sono invitati i delegati delle Avis comunali della provincia ma anche i donatori che volessero partecipare alla vita e alle decisioni dell’associazione, festeggerà questi pregevoli risultati come successo dell’intera organizzazione.

Un successo che nasce da lontano, dalla serietà dei “padri fondatori” e dall’impegno credibile di chi li ha succeduti nel tempo, da un rapporto virtuoso e duraturo con l’Azienda Sanitaria Locale e il suo Centro Trasfusionale, che lavora e seleziona il sangue raccolto per destinarlo alle strutture ospedaliere e alle industrie farmaceutiche produttrici di plasma-derivati.

Un successo favorito dalle Istituzioni locali e regionali, e scaturito da una cultura del territorio ibleo propensa alla coesione sociale, da un “genius loci” sensibile ai valori di una cittadinanza attiva e solidale che ha pervaso il gesto periodico, gratuito e consapevole dei donatori e delle donatrici e la loro virtuosa emulazione.

Il successo ha attraversato indenne, sebbene con notevoli sforzi di natura strutturale, tecnologici e organizzativi, i cambiamenti succedutisi nel tempo anche recente: dai “requisiti minimi” delle unità di raccolta previsti dalla legislazione nazionale e regionale siciliana alle certificazioni periodiche di qualità della gestione, dalla riforma del Terzo Settore alla legislazione di tutela della privacy, fino ai recenti obiettivi di “zero attese” e di “carta zero”, con l’istituzione delle donazioni per appuntamento e con la digitalizzazione dell’intero processo di selezione e chiamata del donatore, di raccolta del sangue e di trasporto alle strutture di trasformazione autorizzate.

Il successo ha affrontato con decisione il divario fra gli uomini e le donne, inizialmente evidente ma ormai sostanzialmente colmato, ha accolto e gestito il flusso dei “nuovi cittadini” immigrati da territori stranieri, ha studiato e gestito proattivamente il calo demografico derivante dall’invecchiamento della popolazione e dalla crescente emigrazione giovanile, ha richiesto l’acquisizione di nuove competenze (oltre al buon cuore e al buon senso civico) da parte della classe dirigente tecnico-sanitaria e organizzativa, per una managerialità moderna necessaria ad una realtà complessa e sfidante, ancora tutta da perfezionare.

Per questo, l’Avis provinciale ha progettato per il 2020 un percorso di formazione in più step, rivolto a operatori sanitari (medici, biologi, infermieri), amministrativi (segreterie), dirigenti in carica e reclutabili per il futuro (l’anno venturo si eleggono i nuovi organismi direttivi), e donatori consapevoli. Il primo incontro si terrà il 28 marzo prossimo, e riguarderà “Il sistema integrato Ragusa dopo i cambiamenti del sistema trasfusionale”.

Il successo ha visto protagoniste anche tutte le Avis comunali, da quelle più grandi di Ragusa (capofila), Vittoria e Modica a quelle più piccole ma vivaci, che hanno prodotto una quantità impressionante di iniziative ed eventi che restano agli atti di oltre 41 anni di storia locale.

Eppure, è bastato l’effetto Coronavirus per determinare, in pochi giorni, una flessione sensibile delle donazioni, pari al 25-30% circa, frutto di un’angoscia che non trova riscontro nei fatti reali.

La Direzione Sanitaria dell’Avis capofila, forte delle indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità recepite e diffuse dall’Avis nazionale, ha dichiarato formalmente che non c’è motivo di temere. Infatti, ad oggi non è dimostrato che ci siano rischi per i pazienti, e non ci sono comunque rischi neppure per il donatore che si reca nelle sedi di raccolta all’interno degli ospedali o nelle unità associative, in quanto le procedure di sanificazione e i dispositivi di protezione individuali adottati dal personale proteggono i donatori da tutti i virus trasmissibili per via aerea nel corso di tutto l’anno.

Solo i donatori che hanno soggiornato nelle sedi a rischio o nei comuni soggetti a restrizioni (Lombardia e Veneto) devono contattare il servizio trasfusionale per la sospensione temporanea di 28 giorni, mentre tutti gli altri possono donare senza alcun rischio.

Paure ingiustificate potrebbero, piuttosto, creare una carenza di sangue che, con certezza, genererebbe problemi seri di salute ai pazienti.

Il numero di morti che in Italia, per cause diverse dal coronavirus che ne ha prodotte finora una ventina in tutto, sono ogni giorno 1.734. Ogni giorno muoiono 500 italiani per malattie tumorali, non sempre indipendenti dai comportamenti scorretti delle vittime, ne muoiono 22 ogni 24 ore per influenza e relative complicanze, 12 per suicidio, 4,1 per incidenti stradali, 3 folgorate dai fulmini, 3 per infortuni sul lavoro e 1,1 per varie forme di tossicodipendenza. La proporzione, al di là della pietà dovuta a tutti i morti egualmente, non regge, ma nessuno ne parla e nessuno vive questi fatti più gravi con terrore. Per non dire che ogni giorno, nei paesi africani, muoiono 7.000 bambini per fame o diarrea, in Siria in numero incalcolabile e in Iraq 500.000 a seguito delle sanzioni imposte a quel paese a livello internazionale.

Non è un fenomeno strano, e neppure nuovo. Già nel 1662, i filosofi Antoine Arnauld e Pierre Nicole scrissero la “Logica di Port-Royal”, un testo in cui si parlava di netta asimmetria fra paure e pericoli. Gli uomini (e le donne) ci preoccupiamo per eventi improbabili e ci esponiamo a gravi pericoli senza consapevolezza. Se il rischio è volontario (correre con la macchina, usare le armi, lavorare senza protezioni, etc.) ci sembra più basso e governabile, se ci viene imposto da altri o non si ha la possibilità di controllarlo (epidemie come il coronavirus) viene percepito, soggettivamente, con molto maggiore intensità. Questo, però, è un corto circuito irrazionale, non una paura utile, quella che in “Ragusano DOC” costituisce “vriogna ma salvament’i vita”.

Oggi, su “La Repubblica”, Vito Mancuso scrive che “la paura è l’emozione negativa che sorge d’istinto dentro di noi a seguito delle informazioni di pericolo captate dalla mente. Essa genera in chi la prova tre possibili reazioni: 1) la difesa e la conseguente aggressività; 2) la fuga; 3) l’immobilizzarsi come pietrificati”.

“Questo – aggiunge il teologo – è quello che pensiamo noi della paura, ma per gli antichi essa era molto di più: era un dio o era mandata da Dio, e per questo occorreva averne rispetto, riverenza, timore”. Stiamo tornando a sostituire Dio con le nostre paure?

Per concludere, sappiamo bene che le società che dispongono di notevole “capitale sociale”, cioè di reti di relazioni interpersonali basate sulla fiducia diventano più prospere e resistono meglio alle emergenze, e Ragusa è fra queste, grazie anche all’Avis.

Con il coronavirus però, sappiamo finora che l’unica o comunque la migliore strategia possibile, nei luoghi del rischio, è tenersi lontani gli uni dagli altri: invece di avere fiducia gli uni negli altri, siamo invitati a essere sospettosi, il coronavirus sta bruciando capitale sociale, e a quanto pare rischia di farlo anche a Ragusa.

Se i donatori di sangue non torneranno a donare il sangue com’è stato finora, una volta superata l’epidemia, fino a quando rimarremo sospettosi e diffidenti? È una tentazione che non possiamo permetterci!

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