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Affinché “ti amo” non diventi “ti odio”

Sottotitolo: tra equivoci, ignoranza del cuore, cadute e ripartenze

Ci siamo ritrovati spesso a parlare della sofferenza della coppia perché con gli omicidi dei partner si sta manifestando in forma drammatica. Troppi genitori piangono la morte di una figlia e troppi figli piangono la morte di una madre per mano del proprio padre.

E’ un dato che la violenza fisica e verbale sia una realtà quotidiana in molte coppie. Nella maggior parte dei casi, per fortuna, senza esiti tragici anche se inevitabilmente dolorosi.

Chiaramente la violenza fisica non è in alcun modo paragonabile a quella verbale, ma troppi uomini e troppe donne sono risucchiati in questa spirale a cui, in modi diversi, contribuiscono entrambi.

E’ inevitabile che al partner diamo il meglio, ma anche il peggio del nostro cuore. Il partner è sia il nostro intimo amico che il nostro intimo nemico, ma molta aggressività nasce da equivoci di base, da idee irrealistiche sulla coppia.
L’ ultimo mito che sopravvive in Occidente è quello dell’amore romantico che promette felicità. Nelle favole e, non solo nelle favole, la conclusione classica è: “…e vissero felici e contenti”.

La verità è che non sappiamo amare. Ti amo è una parola che pronunciamo con tanta inconsapevolezza e tanta ignoranza del nostro cuore.
Non ci fidanziamo e non ci sposiamo perché sappiamo amare, ma perché vogliamo imparare a farlo. Ti amo, nel suo esordio è una parola che ci fanno pronunciare i nostri ormoni e le nostre aspettative egocentriche: le nostre pretese, le nostre illusioni, le nostre dipendenze.

Pretese di possesso che ci fanno vedere l’altro come uno strumento, come un oggetto per i nostri bisogni.
Illusioni non realistiche di felicità che ci fanno dimenticare che l’altro non è venuto al mondo per farci felici.
Dipendenze che ci illudono che l’altro possa fare da protesi alle nostre insufficienze e alla nostra solitudine.
Sono le nostre aspettative autocentrate che fanno sì che la parola “ti amo”, pronunciata il giorno prima, diventi “ti odio” il giorno dopo.

Abbiamo bisogno di un lungo apprendimento per comprendere che amare non è possedere, per riconoscere l’altro come soggetto e non come oggetto.
Il mito del principe o della principessa che ci farà felici è un inganno. Dobbiamo evitare di caricare l’altro di questo peso non realistico. L’altro/a è il compagno di viaggio in questa avventura bella e faticosa che è la vita.
L’altro/a non c’è al mondo per farci felici. La vita in comune ci regalerà gioia e dolore, soffrirà di momenti di logoramento e incomprensione. Se pensiamo che il dolore non ci debba essere, ce ne sarà molto di più.

La cattiva notizia è che i conflitti, le incomprensioni, i tradimenti accadono.
La buona notizia è che “resistere” insieme è possibile e può essere la più grande esperienza di apprendimento del cuore: del mio e di quello dell’altro/a.

I conflitti, le incomprensioni sono dolorosi, ma lo sono ancora di più se pensiamo che non ci debbano essere. Se abbiamo questo pensiero irrealistico, quando accadono, tenderemo a colpevolizzarci o a colpevolizzare.
In presenza di un conflitto o di una persistente incomprensione abbiamo l’incubo che l’amore stia venendo meno. La verità è che il conflitto non solo è inevitabile, ma addirittura può diventare occasione privilegiata per apprendere e accrescere così la nostra consapevolezza interiore e relazionale.

Abbiamo scritto tanti anni fa che “innamorarsi è preferire l’altro/a tra tanti e che amare è preferire l’altro a sé stessi”. Per imparare ad amare così non basta tutta la vita.
Abbiamo bisogno di reggere la nostra solitudine, di essere liberi dall’altro per amarlo.

Abbiamo bisogno di integrità per poter gustare la profondità dell’amore.

In un tempo in cui viene tolta la vita a colei o a colui che si è amato abbiamo da recuperare la lezione dello straordinario maestro di vita di Nazareth: imparare ad amare il prossimo. Prima come noi stessi e poi più di noi stessi. E che non c’è amore più grande di questo: “dare la vita per amore.”

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