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Emergenza corona-virus e gestione delle implicazioni psicologiche

L’impatto con l’emergenza corona-virus in Italia sollecita delle riflessioni sulle risposte psicologiche che eventi improvvisi di questo tipo determinano sugli esseri umani.

In tali situazioni infatti è facile che venga intaccato il senso di sicurezza personale che a sua volta può influire sul normale rapporto con l’ambiente.

Le condizioni di emergenza riportano di fatto il focus psicologico sul tema primordiale della “sopravvivenza”, che detta delle regole di approccio alla realtà diverse da quelle vissute in “tempo di pace” cioè in situazioni di normalità.

Il primo elemento psicologico che viene a modificarsi è il senso di controllo che abbiamo sulle nostre vite grazie ad una quotidianità ordinata che ci garantisce sufficiente stabilità e sicurezza. Nella lunga lotta per la sopravvivenza il genere umano ha cercato di sottrarsi a  tutto ciò che possa essere imprevedibile, limitando così il rischio di quello che più è minaccioso per la sopravvivenza. La situazione improvvisa e sconosciuta ci fa infatti sentire in pericolo e “sopravvivere” rappresenta il primo imperativo.

La perdita del controllo sulla propria quotidianità e la permanenza di un prolungato stato di allerta provocato da un senso di instabilità costante, producono reazioni di ansia (se non addirittura di panico) ed una sensazione di estrema fragilità; queste  reazioni sono assolutamente normali in tali contesti, non vanno quindi patologizzate, ma gestite a partire dalla valenza positiva che hanno: cioè quella di spingere a mettere in atto comportamenti protettivi. E questa è di fatto la via di uscita per gestire le situazioni di disagio psicologico che questi eventi comportano, cioè rispondere alla domanda: cosa fare per proteggersi?

L’attivazione psico-fisiologica, derivata dal dover affrontare una situazione di pericolo, determina una spinta all’azione, al fare, che se non ben convogliata, rimbalza all’indietro tramutandosi in ansia e/o panico legati al “non sapere che fare”. In condizioni di emergenza l’uomo e la comunità sono in grado invece di attivare risorse eccezionali, fino a quel momento magari relegate all’inconsapevolezza. Perché questo avvenga è necessaria una  comunicazione responsabile da parte di chi è investito di un’autorità verso chi in questa autorità trova riferimento: governanti e istituzioni verso cittadini, sanitari verso pazienti, genitori verso figli, insegnanti verso allievi etc., chi è in una condizione di maggiore fragilità o minore informazione porta questa domanda impellente: cosa debbo fare? Cosa si deve fare? La risposta a questa istanza fornisce un sostegno formidabile per l’attivazione di risorse e per la gestione del panico. In tal senso è utilissimo avviare “in tempo di pace” programmi psicoeducativi e di addestramento per la popolazione per quelle che possono essere emergenze in qualche modo prevedibili, si pensi a possibili terremoti che nella nostra area sono attesi. Ma anche con una crisi in atto è fondamentale gestire come e cosa si comunica, responsabilità questa che ricade per intero pure sui mass media, che, soprattutto in tali frangenti, hanno un dovere etico verso la popolazione svolgendo una funzione, per così dire, di servizio pubblico; le regole possono essere semplici: fornire, da parte degli Enti che ne hanno l’autorità, informazioni trasparenti, comprensibili  e con continuità; non utilizzare un linguaggio iperbolico che faccia debordare il senso di paura; dare indicazioni precise e tempestive sui corretti modi di agire; dare indicazioni su come accedere alle informazioni; evitare informazioni contraddittorie e non univoche. Tutto ciò aiuta a recuperare un senso di controllo sulla nostra vita e a mitigare le paure.

Il secondo elemento che vale la pena citare per le sue risonanze psicologiche in queste situazioni, è il tema della scoperta o riscoperta della propria vulnerabilità e della gestione di questa nuova o rinnovata consapevolezza. L’argomento è qui al confine tra filosofia e psicologia, ma è una caratteristica propria della psicologia che si occupa delle emergenze farsi carico in modo peculiare dei fondamenti esistenziali della vita umana quali la malattia, la sofferenza, la morte o la perdita di senso.

La percezione profonda della propria vulnerabilità è un fatto decisivo nella crescita psicologica ed etica dell’individuo; essa costituisce un forte antidoto al narcisismo solipsistico e serve a promuovere invece  comportamenti solidali, dettati da una precisa etica relazionale che mette al bando aggressività e violenza. Emergenze come quella riguardante il coronavirus ci costringono a rinegoziare con noi stessi la definizione di “sicurezza personale” che non sta tanto nel poter pensare di restare immuni da pericoli o minacce di qualsiasi natura nella nostra vita, di essere invulnerabili appunto, ma consiste invece nel poter pensare la “sicurezza” come una condizione in cui il rischio ed il pericolo sono parte integrante della vita, pensiero accompagnato però dalla consapevolezza di poter attivare risorse per fronteggiarli. Questa è di fatto la condizione umana e questo è anche il compito che la psicologia ha, quando agisce sul piano individuale, per supportare persone in situazioni di stress traumatico per via delle condizioni di pericolo: contribuire ad attivare risorse e comportamenti resilienti. In emergenze come quella che stiamo vivendo riscopriamo che “nessuno si salva da solo”, che siamo profondamente in contatto e relazione gli uni con gli altri e logiche individualistiche di sopravvivenza sono destinate a fallire, anche sul piano politico. Solo la percezione profonda di appartenenza alla comunità umana può infatti permettere di fare i conti in modo psicologicamente maturo con la nostra vulnerabilità, stimolando le nostre capacità individuali di relazione, nonché la nostra generosità verso chi ci succederà.

Il vantaggio paradossale delle situazioni emergenziali è proprio quello di riportarci ai valori fondanti la nostra esistenza, senza i quali “vivremmo come bruti”: il percepire che condividiamo un destino comune con il genere umano è uno di questi valori. Nelle grandi emergenze, come quella attuale,  vi è una comunità che reagisce non un singolo. Uno degli aiuti  psicologici fondamentali in questi casi consiste proprio nel sostenere il recupero del senso di appartenenza.

In conclusione è utilissimo che le comunità vengano informate sulle possibili reazioni psicologiche in momenti di elevata criticità, per non restarne schiacciate oltre misura e valutare quando invece si reputa opportuno un aiuto specialistico. Questo, ancora una volta, può essere fatto in via preventiva “in tempo di pace” a livello di gruppi o con una crisi in atto anche a livello individuale.

La terza e ultima riflessione da affrontare riguarda il personale sanitario. Chi, come in questo caso, ha un compito di cura in elevate condizioni di criticità, sia per via del rischio di contagio che per la pressione lavorativa, è sottoposto a forti tensioni psicologiche che possono tramutarsi in un vero e proprio stress traumatico. Il fatto che possa essere  garantita la possibilità di assistenza psicologica o alle equipe operative e/o ai singoli sanitari rappresenta un corollario importante a garanzia di interventi più efficienti e a tutela del personale stesso.

Antonio Roberto Cascio
Psicologo Psicoterapeuta – Esperto in Psicologia Delle Emergenze

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