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LA SPERANZA DEL FUTURO

Pubblichiamo l’intervento di Tonino Solarino tenuto nell’ambito del confronto organizzato a Vittoria dalla Fondazione il Buon Samaritano e dall’Associazione Giovani-Idee. Tema del convegno: “ La speranza del futuro i giovani si interrogano e ci interrogano.”

Grazie per l’invito e la stima sottostante, ma soprattutto per questa occasione di confronto generazionale. I conflitti tra le generazioni, e ancora di più i conflitti di genere e tra le genie , ci dicono quanta necessità abbiamo di luoghi e tempi di confronto per costruire una città plurale dove ascoltarsi, riconoscersi, apprendere gli uni dagli altri.
E’ bello che abbiate voluto rilanciare il valore della speranza. “Pellegrini di speranza” è anche il tema del giubileo del 2025.
Grazie in particolare alla Fondazione il Buon Samaritano e all’associazione Giovani idee perché testimoniate e costruite speranze possibili, e a volte impossibili, in questo tempo di nichilismo, di professionisti della lamentela, in cui il Censis ha evidenziato il rischio di un presentismo senza memoria e senza futuro.In questo tempo in cui una classe politica senza visione, senza “pensieri lunghi” insegue il sondaggio quotidiano per decidere lo slogan da lanciare.
Da psicoterapeuta so quanto sia occasione di guarigione e quanto protegga la salute avere un orientamento al futuro, avere un progetto per la propria vita.
La speranza è una terapia personale e collettiva.
Lo testimonia con grande autorevolezza Vicktor Franckl nei suoi libri: “psicologo da lager”, “la sofferenza di una vita senza senso”. Franckl nell’inferno dei lager osservò che coloro che desideravano sopravvivere erano quelli che custodivano una speranza e che non avevano rinunciato al potere di cui potevano ancora disporre : quello di pensare, di sentire, di amare, di decidere come vivere quegli eventi tragici della vita. Sul piano filosofico Nietzsche ha scritto cose analoghe: “chi ha una speranza e un perché può sopportare ogni cosa”!
E’ proprio così. La differenza la fanno la speranza che coltiviamo, il senso che diamo alla nostra presenza nel mondo, la responsabilità di scegliere come affrontare la vita e i suoi limiti invalicabili: la morte, l’ingiustizia, la malattia.

Quale speranza ?
Parafrasando Dostoevskij possiamo affermare che non solo la bellezza, ma anche “la speranza ci salverà”. Resta aperta una domanda: “di che speranza parliamo?”
Se sulla speranza interrogassimo un neo-genitore di buon senso risponderebbe che la sua speranza è crescere un figlio felice. Se interrogassimo un genitore di un adolescente risponderebbe che la sua preghiera per il figlio è che non sprechi la sua vita, che trovi qualcosa che gli riscaldi il cuore, perché se il cuore è spento o freddo il rischio è cercare calore in esperienze o sostanze dannose.
Mi ha colpito anni fa il racconto del vescovo Paolo Urso. Ricordava con commozione l’episodio di una mamma africana che gli chiedeva di portare in Italia il suo bambino… Perché una madre arriva a pensare di privarsi di un figlio? Per la speranza di poter dare “alla carne della sua carne” una vita migliore, una vita che sapeva di non poter offrire! E’ la stessa speranza di padri e madri di famiglia che attraversano il nostro mare rischiando la morte. E’ una speranza che conosco perché era anche quella dei miei genitori, quando comunicarono a me e a mia sorella che sarebbero emigrati in Svizzera per offrirci una vita migliore e che di noi si sarebbero presi cura i nonni…Si, abbiamo bisogno di sperare un futuro migliore. Ne abbiamo bisogno per sentirci più vivi e vitali!
La necessità si sentirsi vivi: tra tentativi, errori, strade sbagliate.
Una volta una giornalista, un po’ impertinente, chiese a don Oreste Benzi, un prete che ha speso la sua vita per prendersi cura degli altri nelle periferie esistenziali, perché frequentasse le strade della prostituzione o i luoghi di sballo? La risposta mi colpì molto: “ci vado perché in quei luoghi le persone trovano una risposta sbagliata ad un bisogno giusto? Al che la giornalista, incuriosita, lo incalzò: “che vuol dire? Quale sarebbe questo bisogno giusto? “ “Il bisogno di sentirsi vivi!” fu la risposta di don Oreste. Molte stupidaggini che ci ritroviamo a compiere, molte strade sbagliate che ci ritroviamo a percorrere sono tentativi di sentirsi vivi!
Sentirsi soli, sentirsi spenti, non sentirsi vivi è il male di vivere in Occidente.
Anche se i poveri aumentano di anno in anno e molte famiglie sono sotto la soglia di una vita dignitosa in Occidente nessuno muore di fame. Madre Teresa di Calcutta affermava che un topo occidentale con quello che mangia una persona in India morirebbe di fame. I drammi sono sentirsi soli e, ancora di più, il dramma di non sentire il proprio corpo e la propria anima, di sentirsi morti!

Ho accompagnato due ragazze in terapia perché si procuravano tagli dolorosi.. Due loro riflessioni mi hanno colpito e mi sembrano paradigmatiche. La seconda più ancora della prima:1Mi taglio per fare uscire il dolore dal mio corpo;2)Mi taglio per rassicurarmi di non essere morta. Il dolore e il sangue mi rassicurano che sono viva.
La vita facile, non corrisponde alla vita felice
E’ una verità che la vita facile non corrisponda con la vita felice!! La vita felice non coincide con possedere cose che, spesso, nonostante abbiano un prezzo alto, hanno un valore basso… Ha colpito la mia generazione che uno degli eredi della dinastia di Agnelli si sia suicidato: aveva tutto, ma gli mancava l’essenziale. Mi intristisce che alcuni figli di amici benestanti siano finiti in tunnel autodistruttivi. Hanno tutto, ma mancano dell’essenziale. No, la vita facile non garantisce una vita felice. All’opposto ci sono persone che non hanno niente, ma hanno l’essenziale, che hanno continuato a cantare la vita nonostante con loro fosse stata “bastarda”. Abbiamo un esempio vicinissimo a noi. Nino Baglieri ha vissuto una vita gioiosa nonostante l’immobilità in un lettino dopo un incidente disastroso sul lavoro. Non aveva più niente, ma aveva l’essenziale e chiunque lo incontrava tornava a guardare alla vita con un sorriso di speranza.
Sono diverse le bugie sulla felicità che ci vengono raccontate.
La felicità non è avere le farfalline sullo stomaco o rincorrere ossessivamente esperienze adrenaliniche. Sono belle le farfalline sullo stomaco e ce le godiamo quando ci innamoriamo o quando raggiungiamo un traguardo per noi importante, ma se fosse così semplice essere felici basterebbe sballare, rischiare la vita per un selfie impossibile, sbronzarsi, iniettarsi o inalare droghe: tutte esperienze che sembrano promettere il paradiso, ma che, invece, conducono all’inferno. Esperienze che ci privano della nostra libertà e ci rendono dipendenti: schiavi di prigioni di cui noi stessi abbiamo buttato via le chiavi. Quante bugie circolano sulla felicità! Veri e propri “comandamenti” con promesse e pubblicità ingannevoli perché questo sistema capitalista ci vuole infelici per poi offrirci come sedativi i suoi prodotti di consumo.
Cito alcuni di questi nuovi comandamenti:
• Odia e sarai felice che eccita ed esalta la volontà di potenza a danno del prossimo. Una volontà di potenza che non risparmia il prossimo intimo se è vero come è vero che i parenticidi aumentano di anno in anno.

• Godi e sarai felici è l’altro popolare comandamento. Oggi si copula molto di più, ma non mi pare di vedere tanta felicità in giro o tra le coppie. Mi capita, invece, e sempre più spesso di incontrare persone dipendenti da sesso che chiedono aiuto. Persone che, mi passi il termine, si “rincoglioniscono” in internet per intere nottate alla ricerca di siti porno sempre più trasgressivi, compromettendo così il loro lavoro e le loro famiglie.
• Ancora : “Consuma e sarai felice” con l’effetto che aumentano le persone con dipendenza da shopping. Mi colpiscono le caratteristiche del quarto disturbo alimentare: “chewing and spitting/mastica e sputa”. Una metafora perfetta di questo tempo che incita a consumare senza gustare.
• Sii autosufficiente, performante, brillante, efficiente, eccezionale, produttivo è il mantra che fa da l’humus ai narcisismi, agli attacchi di panico, all’ auto-reclusione nella propria stanza dei cosiddetti “hikikomori”.
Torna la domanda: “cosa fa sentire vivi?”
Se interpelliamo la nostra esperienza, dentro di noi abbiamo la risposta! Se ci chiediamo: “quando ci siamo sentiti vivi, quando abbiamo sperimentato commozione o abbiamo sentito la nostra anima vibrare, quando abbiamo cantato alla vita il nostro magnificat” le nostre memorie ci ricordano che la felicità è relazionale, che la speranza è relazionale! Dentro di noi sappiamo che abbiamo cantato alla vita quando con le persone care abbiamo sperimentato appartenenza, stima, intimità, affetto, riconoscimento. Oggi gli psicoterapeuti, compresi gli psicoanalisti, concordano che la libido non è ricerca di piacere, ma ricerca di piacere relazionale. Il piacere senza l’altro diventa noia, maledizione, coazione a ripetere, dipendenza, aggressività.
Se vogliamo misurare il nostro benessere occorre che la risposta a queste domande ci veda ottenere un punteggio sufficiente: “A chi appartengo? Con chi ho legami solidi? Su chi posso contare in questo tempo di liquidità velenosa, invidiosa, arrogante? A chi posso aprire il cuore nei momenti di fragilità? Quanta intimità posso condividere? Di fronte a chi posso restare emotivamente nudo? Per chi sono utile? Qual’é la speranza sulla mia vita? Sono domande centrali, dirimenti perché siamo esseri relazionali e spirituali e non solo esseri materiali e biologici. In particolare la nostra vita psichica e spirituale richiede verifiche ricorrenti: perché faccio quello che faccio? Che senso ha quello che faccio? A cosa mi porta quello che faccio ? Quanto quello che faccio corrisponde ai valori che ho scelto?

Cari amici, la storia ci testimonia che le grandi anime, i grandi personaggi sono coloro che hanno speso tutta la loro vita per una causa, per un sogno.
Una vita felice è quella spesa totalmente per una missione a volte fino al sacrificio di sè.
La speranza che più ha fecondato mondi nuovi è stata quella sognata da grandi anime quando tutto sembrava disperare:
• la speranza di Gandhi di un’ India libera quando l’Inghilterra era una grande potenza apparentemente imbattibile.
• La speranza di Luther King quando la discriminazione razziale sembrava una normalità dolorosa anche per chi la subiva .
• La speranza di Mandela nei suoi lunghissimi anni di carcere per liberare il suo popolo.
• La speranza di Gesù Cristo che ha dato e continua a dare dignità ai derelitti, nonostante il potere politico e religioso pensava di averlo zittito per sempre.
Spes contra spem.
Queste grandi anime hanno sognato una speranza impossibile e hanno regalato a tutti una vita migliore e più fraterna. In questo tempo di nichilismo, di deriva narcisistica, di morte del prossimo, di religione dell’io abbiamo bisogno di sognare e realizzare progetti economici fraterni, progetti politici fraterni, chiese fraterne.
La fraternità è stata la grande omissione della rivoluzione francese. Ne abbiamo pagato le conseguenze. Senza fraternità la libertà e l’uguaglianza sono impossibili.
Il fallimento del comunismo ci ha ricordato tragicamente che l’uguaglianza senza libertà e senza fraternità appiattisce, omologa, mortifica l’originalità e la dignità. Il fallimento del sistema turbo capitalista ci ricorda che la libertà senza uguaglianza e fraternità diventa un idolo che crea disuguaglianze, prepotenze, sfruttamento.
Cari amici, che la speranza guarisca le nostre paure e sia la nostra forza per sognare progetti relazionali: di fraternità democratica, di economia fraterna, di fraternità religiosa.
E a tutti voi grazie perché la vostra presenza testimonia l’impegno ad essere promotori e custodi del futuro che è un bene fragile e prezioso e di un sogno mediterraneo comunitario, che ci veda impegnati a reimparare il pronome noi.
Tonino Solarino

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