Questo periodo della nostra vita, impensabile fino a tre mesi fa, ci ha posto dinanzi una serie di evidenze e realtà e ci ha costretto a prendere consapevolezza di tante problematiche di cui non ci siamo mai preoccupati o curati, vuoi per indolenza, vuoi perché presi dal turbinio di una vita quotidiana molto più coinvolgente di quella attuale, vuoi perché davamo per scontate le realtà, l’assetto sociale e istituzionale nel quale ci muovevamo.
Normalmente chi vuole migliorare i sistemi li sottopone a degli stress test simulati per individuarne i punti deboli, noi abbiamo vissuto, senza simulazione ahimè, una situazione di stress del nostro sistema sanitario che qualcosa ci sta dicendo e non possiamo certo girare la testa da un’altra parte e fare finta che tutto sia andato bene e che non ci siano criticità cui dare risposte soprattutto alla luce del fatto che le criticità si sono trasformate in vittime.
A proposito dei morti poi il calcolo già terrificante di suo andrebbe aumentato del maggiore indice di mortalità che in questo periodo hanno fatto registrare tante altre patologie perché le persone, non hanno voluto (per paura di contrarre il virus in ospedale o dal medico curante) o non hanno potuto per congestione delle strutture ospedaliere essere assistite come prima: solo per citare un esempio una statistica della Società Italiana di Cardiologia evidenzia un incremento di mortalità negli infarti, triplicata dal 4,1% al 13,7%.
E allora il dibattito sui modelli di sanità a mio avviso va avviato, senza concentrarsi sui capi espiatori, delle responsabilità si occuperà la magistratura, a me in questo ambito interessa la prospettiva per il futuro.
Intanto la stratificazione di competenze regionale/nazionale ha mostrato tutti i suoi limiti, quello di venti potenziali sistemi sanitari e i continui rimandi di accuse tra qualche Regione e il Governo sono il segno più evidente di una situazione in cui il processo decisionale è quantomeno da rivedere, la sanità deve avere una dimensione nazionale e garantire lo stesso servizio a tutti i cittadini italiani.
Ma soprattutto è apparsa evidente che mentre in periodi di ordinaria domanda sanitaria le eccellenze ospedaliere costituiscono una risposta più che soddisfacente, in situazioni come quella vissuta, è stato molto più efficace un sistema come quello veneto più attento alla medicina di territorio; il “mito” della competizione tra pubblico e privato (che spesso ha legittimato ingenti dirottamenti di risorse pubbliche verso i privati) che costituiva il leit motiv della sanità lombarda si è infranto nella Caporetto del coronavirus … davanti alla pandemia un sistema che ha puntato sul modello competitivo pubblico/privato delle strutture ospedaliere di eccellenza (che ribadisco in periodi normali sono una grande risorsa), ha dovuto verificare che la carenza di medicina del territorio, che per definizione può essere solo pubblica, deve riflettere e ripensarsi.
Voglio qui evidenziare che per evitare che, come accade oramai sempre in Italia, tutto si butti in caciara senza poi affrontare seriamente i problemi ho voluto citare due modelli diversi di sanità gestiti entrambi da governatori leghisti, perché non sono interessato alle squallide polemiche mentre le persone muoiono e soffrono sia fisicamente che economicamente.
E che dire poi, e questo è un problema di politica economica, della acquiescenza totale alla globalizzazione con “delega totale” di fatto concessa ai paesi asiatici di intere filiere produttive anche strategiche (es. mascherine, apparecchiature elettromedicali, relativi ricambi etc.) pur di avere prezzi bassi (e con cinico disinteresse nei confronti delle garanzie per i lavoratori addette a quelle produzioni …)
E si! Le riflessioni vanno fatte e serie, di impostazione sociale, che almeno da questa tragedia ci resti qualcosa di positivo.