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Che stirpe di uomini è questa? ‟Humanitas” al tempo del coronavirus

Maurizio Bettini, professore di Filologia classica presso l’Università di Siena, intervenuto al Festival di Filosofia 2019 di Modena – Carpi – Sassuolo, ci rende partecipi di un interessante e rigoroso percorso di pensiero con particolare riguardo al lascito culturale del mondo antico.

Il punto di partenza della sua analisi fa riferimento ai versi 538 – 543 del libro I dell’Eneide di Virgilio e riguarda la vicenda dei troiani, guidati da Enea, in fuga dalla loro città in fiamme, distrutta dai Greci. I troiani naufraghi tentano di approdare nella Libia di allora (attuale Tunisia), ma le guardie della regina Didone li schiacciano via minacciandoli di morte, il loro capo, Ilioneo, pronuncia le seguenti parole:
….omissis, << che stirpe di uomini è questa, quale mai tanto barbara patria permette questi usi? Ci nega accoglienza alla riva, viene a aggredirci e ci scaccia dal margine estremo del lido. Se disprezzate il genere umano temete almeno gli dei memori di giustizia e equità>>.

Chiosa: Chi nega accoglienza, chi respinge i naufraghi appartiene a una stirpe barbara, indegna, turpe. Bettini, chiarisce però, che i troiani erano stati schiacciati perché ritenuti nemici e non naufraghi in fuga da una guerra, per cui, chiarito l’equivoco, la Regina dei cartaginesi li accoglie.

I versi di Virgilio, così tradotti, possono assumere una connotazione altamente simbolica se calati nel contesto storico dei nostri tempi. In realtà il Professore fa riferimento alla narrazione di Virgilio collegandola alla dolorosa questione umana del fenomeno dell’emigrazione, e individua in essi uno dei fondamenti più antichi della nozione di diritto umano.

Tuttavia, ancor prima di avanzare sul sentiero di riflessioni che ci permettano di indagare su quale possa essere il messaggio insito in quei versi di Virgilio e nel panorama culturale degli antichi, si rende necessario aprire una parentesi di brevi note.

In particolare, non tutti accolgono le idee proposte dal Prof. Bettini nel ritenere che in quei versi si possa rintracciare uno dei nuclei originari del senso umano del vivere. Nello stesso tempo, però, sarà più ragionevole prendere le dovute distanze da quella nebulosa di “logomachie” – sterili e quanto mai vane dispute – se non addirittura di insulti via web, nei confronti di quanti leggono nelle parole di Virgilio radici di quello che noi oggi definiamo diritto umano.

Sarà inoltre utile, poiché la drammaticità del tempo che stiamo vivendo lo richiede, riafferrare, nei suoi nuclei essenziali, il patrimonio culturale a cui oggi si può fare riferimento al fine di riappropriarci della nozione di humanitas.

Ed è in tale direzione che si colloca il percorso di pensiero offertoci dal Prof. Bettini all’appuntamento annuale del festival di Filosofia di Modena del 2019. In quella occasione, dopo un ampio, rigoroso ed articolato itinerario filologico, dal mondo antico ai nostri tempi, il Professore enuclea la nozione di humanitas (società umana, famiglia umana).

Sulla base di tale itinerario, riprendendo Cicerone, si definisce uomo colui che ha razio e orazio, colui che ragiona e sa far uso della parola, ma non basta, per essere veri uomini bisogna obbedire ai communia altrimenti la stessa società umana (l’humanitas)
fallisce. I communia erano un nucleo minimo di regole che, dal tempo dell’Attica greca, viene più volte ribadito in tutto il corso del mondo antico così espresso: non negare acqua e fuoco a chi ne faceva richiesta, mostrare la strada ad un viandante, seppellire un cadavere. Per i latini, poi, grazie anche al contributo del pensiero di Seneca, è uomo colui che è mite, generoso, civile, non certo chi è arrogante, violento, vincitore in guerra.

Infine, per Plinio il Vecchio, la Humanitas della vita si fonda sul papiro, la carta (il libro oggi) fonte di produzione, diffusione e fruizione della cultura. In definitiva per noi contemporanei, eredi di tal prezioso patrimonio culturale, l’humanitas si fonda sulle qualità degli uomini e delle donne che sanno fare uso della ragione, rispettano le regole di accoglienza dell’altro, sono miti, generosi e civili e danno valore alla conoscenza, l’arte, la cultura: di uomini e donne, dunque, attenti nel coltivare (dal latino colore) il senso del “proprio essere “ fra gli altri e con gli altri.

E dove mai siamo approdati, seguendo le linee degli antichi, se non a un illuminante, condivisibile paradigma di convivenza civile? Uno squarcio di luce nella fosca galassia in cui, oggi, il principio dell’umano senso del vivere sembra disperso. E allora, nella società in cui le maglie del tessuto connettivo della dimensione umana, appaiono disgregate, vitale diventa i ruolo di uomini e donne, di alto, onesto e rigoroso rango intellettuale, il cui sguardo sia rivolto – a partire dalle ritrovate, antiche radici – verso la costruzione di uno jus humanum globale: di una civile universale convivenza. A ciascuno di noi, allora, il compito di mai abbassare la guardia, di coltivare la bellezza di
essere uomini e donne degni di appartenere alla famiglia umana, di riconoscerci tutti fratelli e sorelle (Seneca: gli uomini sono tutti fratelli), di saper discernere fra chi vuol tessere il racconto dell’umana vicenda e chi invece, fra talk show e pullulanti “cicalecci
social”, urla, accusa, istiga all’odio.

In questi giorni in cui l’umanità è messa a dura prova, noi europei siamo a un bivio, ascoltare e seguire il monito di quanti sostengono che è giunto il momento di impegnarsi nel rinnovamento delle istituzioni europee per creare uno spazio di reale civile convivenza,
uno spazio di accesso per tutti allo jus humanum o isolarci in egoismi senza via d’uscita.

Purtroppo, la critica agli europeisti non sempre è scevra da personalismi o interessi di parte con l’effetto di disorientare l’opinione pubblica (in buona o cattiva fede non ci è sempre dato di conoscere).

Si può ragionevolmente, pensare, tuttavia, che, lo stare a casa e l’emergenza ci abbiano permesso di riflettere e di immaginare quali scenari ci attendono una volta vinta la pandemia. In prim’ordine la questione economica e l’impatto sulle fasce non protette della società.

Ma bisogna credere che dall’attuale dibattito – certamente non sempre sereno e lineare, vista anche l’entità dell’emergenza – l’Europa possa finalmente intravvedere la via verso quell’ineludibile cambiamento strutturale delle sue istituzioni, da tempo auspicato e promosso da uomini illustri di tutti gli stati europei. Cittadini illustri che con coraggio si pongono in posizione critica nei confronti delle loro stesse istituzioni politiche nazionali, quando queste, nelle sedi diplomatiche, bloccano ogni possibile meccanismo decisionale e remano, ancora, contro il progetto di una Europa federale. Va inoltre apprezzato come, pur con gli strumenti limitati e insufficienti rispetto ai bisogni dell’emergenza, l’UE ha già dato un notevole contributo di stanziamenti, ricorrendo agli strumenti giuridici che glielo permettono. Ed anche Il mondo degli economisti e della scienza, siano essi italiani, francesi, tedeschi olandesi, svedesi, e altri ancora, si è mobilitato, con vero spirito internazionale, per cercare e indicare soluzioni che, da una parte ci permettono di affrontare l’emergenza, ma dall’altra danno precise indicazioni sui cambiamenti strutturali necessari per affrontare il futuro e l’emergenza.

Notevole, a riguardo, risulta l’attività del MFE, con rigorosi contributi di pensiero riflessivo e di possibili piste da seguire sul piano delle scelte di politica economica, finanziaria e sociale, nell’immediato. E ancor più forte è il monito rivolto agli stati nazionali di assumersi la responsabilità di procedere verso l’ineludibile, urgente cambiamento delle istituzioni europee verso una forma di Stato Federale Democratico. Tutte questioni, queste, di vitale importanza i cui approfondimenti tecnici, la Sezione IBLEA mette a disposizione del pubblico di Piazza Futura.

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