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Il risveglio delle agorà oltre la crisi pandemica

Nella serata del 7 agosto, all’imbrunire, sotto il cielo del suggestivo Chiostro della Chiesa di S. Maria del Piano Gesù di Modica, si è celebrato un incontro pubblico di particolare interesse culturale: come una mite parentesi di inattesa frescura nell’ora in cui viene meno l’insidia del sole cocente di questa questa torrida estate 2021; gli animi si quietano e le persone intervengono a soddisfare la giusta sete di nuove agorà, lasciandosi alle spalle l’amara vicenda della pandemia COVID19.

Protagonista dell’evento la presentazione del libro della Dottoressa Maria Martello “COSTRUIRE RELAZIONI INTELLIGENTI a relazionarsi si impara… ma nessuno lo insegna!

Sono intervenuti con brillante rigore culturale, professionale ed umano – dal mondo accademico e giurisdizionale – Giovanni Salonia, frate, psicoterapeuta, docente universitario; Giancarlo Poidomani, professore di storia contemporanea all’ Università di Catania; Federica Brunelli, avvocato e mediatrice penale; Luciano Criscione, neuropsichiatra infantile, consulente al Tribunale per i minorenni di Catania.

L’avvicendarsi di relatori di tale tempra ha posto spunti di riflessione che, a partire dai nodi fondamentali del pensiero della Dottoressa Martello, hanno interessato gli ambiti della filosofia umanistica, la psicologia, e le problematiche del contenzioso giudiziario costituenti il bacino paradigmatico al quale attingono le tecniche di mediazione per il superamento dei conflitti relazionali.

Attorno al tema di fondo si è costituito un coro di voci di grande espressione valoriale e umano oltre che accademico. Il silenzio partecipativo della platea ha parlato alla stessa stregua delle altre voci contribuendo significativamente ad implementare l’intensità dello scorrere dei discorsi ed elevando ulteriormente il valore dell’evento.

Da parte mia, vista la tarda ora alla quale si era giunti, ho voluto solamente lanciare un “pensiero chiave” che sottolineasse l’importanza di volare alto nella specifica dimensione dell’agire quotidiano, perché in tale circostanza è più probabile che le relazioni scadano nell’incancrenirsi dello stile guerresco e, pertanto, ostile ed aggressivo. E’ necessario volare alto, proprio laddove l’incedere della vita è spesso insidiato dalla pesantezza degli eventi che ci cadono addosso e nei confronti dei quali siamo chiamati a lottare uscendone non sempre vincenti. Oppure, ancora, quando il semplice incalzare dell’orologio sulle incombenze del quotidiano ci distrae, ci allontana dalla messa in campo di quelle “piccole virtù” di ginsburghiana memoria che tanto contribuirebbero, invece, a rendere nobile il ménage relazionale.

Interessante il cambiamento di prospettiva visuale che adotta il passaggio da una concezione di giustizia di tipo retributiva ad una di tipo riparativa. Purtuttavia non si è trovato uno spazio di approfondimento di tale aspetto dell’amministrazione della giustizia che, invece può ritenersi necessario al fine di agganciare la riflessione e la ricerca sull’ ”imparare a relazionarsi” alla dimensione del vivere sociale e della buona politica. Secondo tale prospettiva cos’è in fondo la cura della relazione attraverso l’esercizio del dialogo se non un pilastro della democrazia, e, quindi un requisito fondante di cittadinanza? Un requisito, quindi, che se felicemente innestato negli ambienti educativo- formativi (la scuola, il lavoro, la famiglia) diventa elemento virtuoso che può favorire processi di cambiamenti culturali e nella stessa natura della sfera antropologica.

Ci si chiede, a tal proposito, come, nonostante il più recente dettato legislativo imponga la mediazione prima di giungere al contenzioso giudiziario, non poche sono le difficoltà che rendono periglioso il superamento della soglia del conflitto. Va da sé che, alla luce di tale quesito, si può ragionevolmente pensare che simili difficoltà siano, probabilmente dovute, in buona parte, al fatto che non è ancora avvenuto il cambiamento culturale e, men che meno quello antropologico, affinché il conflitto non degeneri in guerra infinita. E perché un tale cambiamento antropologico possa in qualche modo intravvedersi occorre che la sovranità assoluta dell’”io”, delle classi sociali, dei sindacati, dei partiti, degli Stati- Nazione ceda il passo al pari, reciproco riconoscimento del valore di entità altre rispetto alla centralità preminente di se stessi.

Perché, ancora, le radici per una auspicabile rivoluzione antropologica possano almeno essere piantate occorre che il conflitto non anneghi nel dilagare della povertà di cui nessuno si sente responsabile; nel silenzio delle morti bianche, nella violenza di genere, di classe, di razzismo; nella tirannia dei rapporti economici sottoposti ai diktat della finanza virtuale e speculativa. Lo stile del conflitto irrisolto o ucciso, dunque, è destinato a trasformarsi in una generale guerra perpetua perché il sonno dell’indifferenza, della pigrizia mentale e dell’incompetenza relazionale non ci permettono di maturare la consapevolezza che, fintanto che l’umanità accetta le categorie di gerarchizzazione fra gli esseri umani, dell’uomo sulla natura, “dell’uomo che mangia l’uomo”, non può realizzarsi il sogno della pace perpetua di kantiana concezione. E la pace di cui noi occidentali ci fregiamo di aver realizzato con la fine della seconda guerra mondiale, non è altro che una sospensione del conflitto, più o meno armato o latente, fra una guerra e l’altra, o ancora peggio, un dirottamento dal nostro mondo a quello degli altri popoli.

In definitiva, la ricerca, la continua riflessione e la messa in campo attorno alle tecniche dell’ imparare a relazionarsi, è sicuramente una perla di pensiero che non va però lasciata cadere, da sola ed inerte, nell’oceano complesso del districarsi della vicenda umana.

Lucia Muscetti

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