⟪Realizzarsi in un’economia basata sulla parità di genere
La costruzione di un’Europa PROSPERA e sociale dipende da TUTTI NOI…⟫
⟪ E pur si muove! ⟫.
Gli archivi storici documentano le traversie secondo cui Galileo Galilei nel 1633, sottoposto a processo dal tribunale dell’Inquisizione, si vide costretto ad abiurare la sua tesi eliocentrica che confermava quanto già sostenuto da Niccolò Copernico; l’abiura fu pronunciata dopo un periodo di detenzione durante il quale lo scienziato fu anche sottoposto a torture. Per molto tempo si è creduto che Galileo, nel momento in cui fu liberato alzò lo sguardo al cielo e batté i piedi a terra proferendo la celebre frase “E pur si muove” intendendo con ciò che fosse la terra a muoversi e non il sole, contraddicendo, quindi, l’abiura. In realtà pare che sia stato lo scrittore Giuseppe Baretti, anni dopo – in una sua ricostruzione della vicenda – ad attribuirgli la frase per salvare la dignità dello scienziato. In verità, quale che sia il dato storico riguardo il pronunciamento della frase, il richiamo ad essa vuole porre l’attenzione alla natura di quei processi sociali e culturali che videro protagonisti i più raffinati e ostinati talenti pensanti di quel tempo, otre che, a tutto il contributo di cambiamenti epocali che ne seguì e i cui segni sono ancora ampiamente leggibili ai giorni nostri. Né, tanto meno, sarà il caso di giudicare la scelta di Galilei, nel momento in cui fu posto difronte al dilemma, profondamente umano, se rinnegare pubblicamente le sue idee – e con esse la nuova scienza condivisa da tanti suoi colleghi a lui contemporanei – o rinunciare alla sua stessa esistenza terrena. Certamente, però, è grazie alla brillante e indomabile indole di coloro i quali ebbero il coraggio di dire, sempre più ad alta voce: “E pur si muove” , che tanti nefasti pregiudizi siano stati, nel tempo, abbandonati e l’umanità abbia potuto esperire un rigoglioso, anche se ben sofferto, rinascimento delle idee fino a una sostanziale rivoluzione degli ordinamenti paradigmatici in tutte le discipline di pensiero.
In sostanza, il richiamo a Galilei ed ai suoi colleghi, vuole essere l’invito ad assumere come lezione storica la loro esperienza e volgere lo sguardo verso quanti stanno già affermando, ad alta voce, che sono oggi maturi i tempi perché si tenti un altrettanto riordino paradigmatico dei valori sociali, economici e politici come base di cambiamento/miglioramento della generale condizione umana. In tal senso un prezioso esempio di impegno a porre in essere politiche economiche e sociali, con il coraggio di abbandonare vecchi alfabeti paradigmatici, si possono ben rintracciare al secondo punto della Strategia per la parità di genere dell’UE dal momento che, con riferimento all’ordine socio – economico, non si ribadisce più il darwiniano concetto di economia forte, competitiva ed autoreferenziale, ma si danno chiare indicazioni per:
la “costruzione di una Europa PROSPERA e SOCIALE
nel cui alveo ognuno possa trovare il luogo della propria libera soggettivazione ( non luogo per masse di individui insignificanti e indifferenti). In una economia prospera non è il denaro la misura universale dei processi di sviluppo e crescita, ma altri indicatori si contrappongono a quelli altrimenti adottati nelle analisi utilitaristiche ed economicistiche: il nuovo in economia si concentra su un concetto di prosperità possibile solamente all’interno dei confini etici, ecologici e sociali. Il nuovo, diverso orizzonte in economia poggia su una matrice di pensiero che punta a un riordino paradigmatico delle dottrine politiche, economiche e giuridiche; punta ad una rivoluzione
di tipo copernicana che si scontra con il dominante pensiero unico neoliberista ogniqualvolta propone modelli come quelli di economia ecosostenibile, circolare, civile.
Il modello della ecosostenibilità si pone come scopo primario la rappacificazione dell’uomo con la natura – con la terra definita “GEA PIANETA VIVENTE”, pertanto, soggetto di diritto e non oggetto di diritto – e presuppone l’abbandono del paradigma della crescita in funzione di continui investimenti per l’accumulazione del capitale. Alla crescita concepita come puro incremento del PIL (Prodotto Interno Lordo) e della ricchezza finanziaria si contrappone un concetto di sviluppo che – per poter essere definito tale – deve includere fra i parametri di costo tutte quelle attività che, anche se nell’immediato realizzano la ricchezza monetaria, attraverso il commercio dei beni di consumo prodotti, dall’altra impoveriscono irreversibilmente il pianeta lasciando, per tale via, un destino incerto alle future generazioni.
L’economia circolare, alla luce del paradigma della sostenibilità nell’ambito della produzione e del consumo dei beni, comporta l’assunzione di pratiche che rendano i prodotti quanto più duraturi ed efficienti con lo scopo di ridurre drasticamente il disastroso accumulo dei rifiuti. Essa si pone nettamente in contrasto, con quelle pratiche usa e getta e la subdola predisposizione all’obsolescenza programmata dei beni, che perpetrano una mentalità consumistica non più tollerabile, perché la natura – che sempre vince – ci si rivolta contro.
Un’Europa PROSPERA …… dipende da TUTTI NOI…
Dulcis in fundo, l’economia civile si fonda sul principio della civilizzazione dei rapporti economici che comporta la possibilità garantita a tutti di partecipare, secondo le capacità: ossia tutte le combinazione dei funzionamenti (insieme di condizioni di essere, fare, avere) costitutivi delle forme e degli stili di vita di ciascuno (Amartya Sen Premio Nobel per l’economia).
Secondo l’economista Stefano Zamagni l’economia civile opera cambiamenti paradigmatici almeno in tre direzioni che la differenziano dalle tradizionali concezioni dell’economia politica capitalistica.
In primo luogo l’economia civile si basa sull’assunto antropologico espresso in termini di Homo homini natura amicus: è un assunto diametralmente opposto all’hobbesiano homo homini lupus; fa riferimento alla nozione di amicizia, di aristotelica concezione, secondo la quale si riconosce che all’origine c’è un legame che unisce tutti gli uomini. Di conseguenza, se gli uomini considerano gli altri uomini amici, non hanno bisogno di alzare barriere difensive e, sulla base di una strutturale, fiducia reciproca, il fluire delle relazioni economiche, politiche e sociali diviene più agevole. Viceversa, se gli uomini considerano gli altri uomini lupi affamati da cui difendersi e diffidare, i meccanismi di scambio s’inceppano e le dinamiche economiche sono soggette a ripetute crisi di sistema. Pertanto, nei rapporti economici, la fiducia è l’elemento fondante poiché una diffusa diffidenza comporterebbe elevati costi di transizione dei beni (sospensione o recessioni dai contratti, spese legali e notarili, ecc.): la fiducia intesa, non come banale ingenuo buonismo, ma anima costitutiva delle diverse forme di cooperativismo ed associazionismo non corporativistico dell’ordine sociale, economico, politico.
In secondo luogo l’imprenditore civile è concepito come soggetto trasformatore della realtà circostante, soggetto che nasce storicamente con la vocazione di contribuire a generare cambiamenti di progresso in positivo (imprenditore promotore di ricerca e innovazione, per il bene della comunità, vedi, nel caso italiano, Adriano Olivetti). Si supera, in tal modo, la vecchia concezione dell’imprenditore come soggetto che svolge l’unica funzione di massimizzare il profitto, sottovalutando o escludendo in toto il più ampio risvolto socio – economico del suo agire.
In terzo luogo il paradigma civile presuppone un ordine sociale di tipo triadico, basato su tre dimensioni: Lo stato, la società civile costituita da organizzazioni sociali non corporativistiche, il mercato che interagiscono secondo il principio dialogico e di sussidiarietà circolare. Un ordine sociale siffatto richiede il superamento della contrapposizione conflittuale fra le parti e il comporsi di sinergie d’azione per il bene comune, nel rispetto delle diversità e delle libertà.
Le note fin qui addotte delineano una vocazione dell’ economia civile a volersi costituire come potente baluardo contro le sfide del terzo millennio poste dai processi della globalizzazione: le grandi crisi economiche alle quali il paradigma dell’economia politica non ha saputo dare risposte:
- l’aumento endemico delle disuguaglianze che non si pongono più solamente come problema etico, ma anche economico: quando la diseguaglianza supera una certa dimensione lo stesso meccanismo di mercato s’inceppa; una società di poveri distrugge l’economia e mina la pacifica convivenza;
- la minaccia degli squilibri ecosistemici: senza una nuova alleanza con la natura il destino dell’uomo è perduto;
- il disfacimento delle democrazie occidentali: le nuove dinamiche geopolitiche dopo la caduta del muro di Berlino, hanno prodotto il fenomeno dell’affermarsi dei sistemi capitalisti anche nei paesi inclini ai totalitarismi (Cina, India, Turchia, Sud – Est asiatico ne sono esempi). Pertanto i valori occidentali non sono più ritenuti necessari per la permanenza e la fioritura del modello democratico di ordine sociale ed economico. Ma in tali paesi (più del 40% della popolazione mondiale) una crescita, senza precedenti, è stata realizzata dall’alto e con il comando del partito unico che continua a negare le libertà Tuttavia, è nell’ordine della natura umana che, superata una certa dimensione di benessere, non si è più disposti a sacrificare quei diritti inviolabili che rendono la vita degna di essere vissuta. Pertanto, l’esplosione di meccanismi di disordine sociale globale sembrano essere inevitabili. Sul piano internazionale, allora, si aprono, scenari, in parte già in atto, di gravi crisi di ristagno economico e di forme di populismo: dichiarati nemici delle libertà.
In definitiva, con l’affermarsi diffuso del pensiero della Civil Economy, anche su dimensione internazionale, (USA, GB, UE) sembra che un nuovo stia per avanzare e non solo sul piano delle astrazioni dogmatiche, ma anche – nel caso europeo – sul piano delle strategie politiche e dei piani di azione da parte delle istituzioni. Purtuttavia il legame, fra le nuove strutture di pensiero e la realtà fattuale che ne dovrebbe discendere dai loro postulati, non è immediato e rimane inscritto, come un’incognita, nei sofferti movimenti del tempo storico. Va da sé, allora, che il fluire della dimensione storica debba richiedere che passino secoli, e forse anche millenni, perché dagli embrioni di pensiero si possa approdare alle nuove forme di civiltà da essi immaginati. In tal senso già Aristarco da Samo, in Grecia (310 – 230 a.c) aveva ipotizzato il moto della terra; e poi Ipazia di Alessandria d’Egitto (370 ca – 415) – filosofa – matematica, astronoma, – che formulò l’ipotesi del moto della terra secondo andamento ellittico. Ipazia morì in seguito ad atroci torture praticate da fanatici monaci cristiani per scontare la colpa di essere stata donna pensante.
Da Aristarco sono trascorsi poco meno di 2 millenni perché quella originaria ipotesi potesse prendere forma, altri secoli perché si affermasse come visione scientificamente indiscussa e la terra cominciasse “a muoversi nella mente di tutti”.
Si dice però che oggi, anche il tempo storico possa assumere dinamismi più sostenuti e diversi rispetto al passato. Ed è a quest’ultimo pensiero che bisogna saper credere perché le rivoluzioni dottrinali attuali prendano un corso altrettanto sostenuto verso un nuovo concreto rinascimento della condizione umana.
Lucia Muscetti
Ufficio del dibattito MFE Sez. di Ragusa